Con Dante in Cina Eric Salerno ricostruisce le vicende di Eugenio Volpicelli, un personaggio che, superando frontiere linguistiche e barriere culturali, congiunse l’Oriente con l’Occidente, avvicinando tradizioni letterarie solo geograficamente lontane.
Un ex famoso magistrato avrebbe esclamato «e che ci azzecca» Dante in Cina?
Ci azzecca, eccome.
A spiegarcelo è Eric Salerno con un saggio edito da il Saggiatore dal titolo Dante in Cina. La rocambolesca storia della Commedia nell’Estremo Oriente.
Se l’opera del maestro fiorentino si diffuse in Cina, ma non solo, fu grazie all’infaticabile azione di un diplomatico italiano, Eugenio Felice Maria Zanoni Hind Volpicelli.
Un uomo con tanti nomi ma con un’unica passione, quella per l’Estremo oriente.
Eric Salerno (giornalista e apprezzato corrispondente da anni da Gerusalemme e dal Medio Oriente, autore fra gli altri di Mossad base Italia, Rossi a Manhattan e Uccideteli tutti, libri editi da il Saggiatore,) in questo godibilissimo saggio ripercorre le avventurose tappe di un geniale ma al tempo stesso singolare diplomatico.
Nato a Napoli nel 1856, da una nobile famiglia, Volpicelli fin da giovane definì il suo carattere con scelte impopolari.
Uomo di grande cultura, convinto vegetariano, poliglotta (parlava 15 lingue fra cui l’arabo, il persiano, il mandarino, il russo, il coreano oltre che l’inglese, il tedesco e il francese) ed esperto degli scacchi cinesi (uno dei primissimi occidentali ad avvicinarsi a un gioco per molti indecifrabile) Volpicelli girò in lungo e largo.
Questa incredibile avventura ebbe inizio la sera del 23 agosto 1881, quando Volpicelli lasciò la natia Napoli.
Vi tornerà solo per brevi periodi, sentendosi, però, solo come un visitatore e non più come un cittadino.
Perché il cuore ormai era legato all’Estremo Oriente, lì si sentiva davvero residente.
«Ho trascorso [in quelle terre] la parte maggiore e migliore della mia vita.»
Dante in Cina è innanzitutto l’avvincente biografia di un uomo decisamente fuori dal normale.
Basterebbe il fatto che terminati gli studi all’Istituto orientale di Napoli Volpicelli, invece «di patire un posto» come tanti altri studenti, fece una richiesta insolita: essere assunto alle dogane imperiali cinesi.
E il suo desiderio si materializzò, la prima pagina di uno straordinario romanzo che lo porterà a diventare Console d’Italia a Hong Kong e Macao dal 1899 al 1919.
Ma in quelle terre lontane e amate Volpicelli portò con se la sua grande passione: la Divina Commedia.
Un amore, quello per Dante Alighieri, che nacque quando il futuro diplomatico era poco più che studente.
La diffusione della Commedia divenne il suo principale scopo. Per questo tradusse in cinese molti canti del poema dantesco.
Convinto che quell’opera dovesse appartenere anche alla tradizione cinese, Volpicelli tenne moltissime conferenze, sottolineando come fra Dante e Confucio vi fossero molti punti di contatto.
Ma non tradusse solo la Commedia.
Ammiratore di Cesare Beccaria, Volpicelli tradusse molti passi di Dei delitti e delle pene, suscitando un inatteso interesse.
In Cina la pena capitale era da sempre adottata, oltretutto con metodi barbari come, ad esempio, lo strangolamento.
Lo scopo del diplomatico napoletano fu scuotere le coscienze, non solo cinesi, sul tema della pena di morte, sperando di avviare quel moto di animi che aveva determinato in alcune realtà europee l’abolizione della pena capitale.
La carriera di Volpicelli fu un affascinante caleidoscopio di avventure, riconoscimenti, esperienze. Il tutto sullo sfondo di un mondo segnato dal colonialismo europeo, dalla guerra sino-giapponese e, all’inizio del secolo scorso, dalla rivolta dei Boxer.
Tutto questo e molto altro nel libro di Salerno trova il meritato spazio.
Se, infatti, il nome del diplomatico in Italia è pressoché sconosciuto non si può dire la stessa cosa in estremo Oriente.
Volpicelli, come sottolinea lo stesso Salerno «è uno degli italiani più noti agli studiosi cinesi dopo Marco Polo»
Basti pensare che il giorno dei suoi funerali, morì il 30 ottobre 1936, la chiesa di Nagasaki, dove il diplomatico aveva scelto di vivere, perché le ricordava un poco Napoli, fu gremitissima.
Colleghi, alti dignitari della corte giapponese, funzionari inglesi ma anche studiosi di vari generi tributarono l’ultimo saluto a un uomo che in molti stimavano.
In prima fila gli esponenti della comunità della città giapponese, che anni dopo sarà rasa al suolo dallo sgancio della bomba atomica (fu seriamente danneggiata anche la sua tomba che, però, fu anni dopo restaurata da un anonimo benefattore), che vollero rendere omaggio a «una figura cospicua negli eventi sociali e ufficiali di Nagasaki.»
La bara fu portata a spalla dal console americano Glen Bruner, dagli avvocati di Volpicelli, dal viceconsole britannico e da un caro amico del diplomatico italiano.
Leggere Dante in Cina consente non solo di conoscere la vita e la carriera di un uomo fuori dal comune ma anche di esplorare terre distanti, calandosi in mondi differenti ma incredibilmente affascinanti.
Allora bene ha fatto l’autore a citare all’inizio del suo saggio una splendida frase di Mark Twain, il modo migliore per ricordare l’incredibile vita di Eugenio Volpicelli: