Il curatore dell’iniziativa editoriale che abbina il poema di Dante a un “dizionario” di commento è l’italianista Enrico Malato: «Nel poema ci sono le radici della cultura e della lingua moderna»
Tutto Dante in una mano. Anzi, in due: da una parte il testo annotato della Commedia, dall’altra un Dizionario appositamente allestito, che accompagna il lettore nell’approfondimento di temi, luoghi, personaggi del poema. Tascabili per formato, i due volumi della Divina Commedia curati da Enrico Malato per i “Diamanti” Salerno (pagine LII-1036 + XXIV1104, euro 48,00: l’opera sarà presentata oggi alle 17,30 presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano) sono un avvenimento importante, nel panorama sempre molto vivace degli studi danteschi. Si tratta infatti di una «anticipazione per estratto» dell’edizione della Commedia destinata ad apparire prossimamente nella Necod, la “Nuova edizione commentata delle opere di Dante” coordinata dallo stesso Malato, professore emerito di Letteratura italiana all’Università di Napoli e presidente del Centro Pio Rajna. A fianco del doppio “taschinabile”, infatti, escono sempre da Salerno i contributi Per una nuova edizione commentata della “Divina Commedia” (pagine 220, euro 24,00) nei quali lo studioso illustra e argomenta i criteri seguiti per la revisione filologica del testo.
Professore, fin dove possiamo spingerci nella ricostruzione dell’originale dantesco?
«La perdita di tutti i manoscritti autografi di Dante, il fatto che la Divina Commedia (e tutte le sue opere) siano tramandate soltanto da tarde copie in cui si sono infiltrati tutti gli errori che normalmente si verificano in ogni testo copiato a mano (ricordiamo che le prime stampe sono datate 1472, e prima di questa data i libri si trasmettevano solo per copie fatte a mano, una per una, da copisti più o meno specializzati); la perdita degli autografi danteschi, dicevo, ci obbliga a leggere i testi di Dante in copie manoscritte spesso divergenti. Abbiamo varianti di parole, di grafia, di interpunzione, che spesso alterano il senso della frase, e spesso differenziano in modo anche sostanziale le edizioni dantesche. Di qui il problema di un “accertamento” del testo, che da secoli costituisce l’assillo di chiunque si accosti alla Commedia. Anche gli strumenti della filologia moderna di sono rivelati inadeguati a un risultato certo. Perciò si è tentata in questa nuova edizione una via nuova: l’interpretazione, cioè l’approfondimento del significato di ogni lezione, usata per chiarire quale può essere l’autentica volontà dell’autore e come si possa essere prodotta la variante erronea».
Perché una “nuova edizione commentata” proprio adesso?
«La Necod è un grande progetto editoriale varato dal Centro Pio Rajna e dalla Casa di Dante in Roma per celebrare il settecentesimo anniversario della morte di Dante, che cadrà nel 2021. Il lavoro cui ho accennato, di revisione del testo (di tutte le opere di Dante), è stato programmato per questa destinazione. Molti volumi sono già usciti, di quasi tutte le opere di Dante. La Divina Commedia è pre- vista in uscita per il 2021. Poiché la parte più impegnativa del lavoro (la revisione del testo, insieme con l’impianto essenziale del commento) è compiuta, si è pensato di anticiparne la pubblicazione in una edizione maneggevole, adatta alla più ampia circolazione. Oltre al commento essenziale, ma non sommario, a piè di pagina, il Dizionario offre una piccola “enciclopedia dantesca” che consente di rintracciare ogni passo e trovare risposta ai principali problemi che la lettura può proporre».
Qual è oggi, a suo avviso, la presenza di Dante nella società italiana?
«Dante è tra i classici più presenti nella coscienza di ogni italiano di media cultura, ma anche di molti stranieri. Nel 2017 un mio profilo di Dante tradotto in Francia ha avuto grandissima attenzione della stampa e infine è stato selezionato (lo dico con un certo orgoglio) tra i 20 migliori libri dell’anno. Preferenza concessa, suppongo, non tanto all’autore del libro, quanto al protagonista. In realtà noi dobbiamo a Dante la nostra identità culturale, e per essa, innanzitutto, la lingua che ancora parliamo. E gli dobbiamo quello che Jorge Luis Borges ha definito “il più bel libro della letteratura mondiale”, con un’aggiunta: “la Commedia è un libro che tutti dobbiamo leggere. Non farlo significa privarsi del dono più grande che la letteratura possa offrirci”. Perciò dobbiamo tutti essere impegnati a conoscere e far conoscere Dante, a farlo vivere, ciò che può avvenire solo attraverso la lettura. L’obiettivo a cui mirano questi due piccoli “Diamanti”».
Quanto è attuale nella nostra fase storica la volontà di sintesi dei saperi di cui Dante si fa portavoce alla fine del Medioevo?
«Dante definisce l’uomo, sulle orme di Aristotele, un animale fornito di ragione e assetato di conoscenza. Oggi il “sapere” è naturalmente assai più diffuso e di maggior spessore che ai tempi di Dante, ma non necessariamente più avanzato. Spesso si esaurisce nella rapida consultazione di Internet, senza alcuno stimolo ad andare oltre… Anche per questo dobbiamo avvicinarci a Dante, leggerlo, farlo leggere. Dante ci offre la più grande rappresentazione del Medioevo che sia stata mai tentata. Che certamente è un’epoca lontana, distante da noi e attraversata da fermenti, problematiche, sollecitazioni che non sono più i nostri, ci coinvolgono poco. Ma il Medioevo è l’età in cui la cultura classica, che è poi la sintesi di tutta la civiltà del mondo antico, è stata ripresa e, adattata alle istanze del messaggio cristiano, rielaborata e trasformata in quella che sarà, subito dopo Dante, la cultura dell’Umanesimo: che è il fondamento della cultura moderna, quella che viviamo e interpretiamo quotidianamente. Insomma, semplificando al massimo, diciamo che nel Medioevo sono le radici della nostra cultura moderna, e solo attraverso le radici si assume la linfa vitale che alimenta l’organismo. Attraverso Dante noi possiamo non solo attualizzare quei valori fondamentali della nostra cultura, ma trarne quei “piaceri” che Borges segnalava e raccomandava».
Dante è ancora il padre della lingua che parliamo nel XXI secolo?
«La formula non è enfatica, ma esprime una ineludibile realtà storica. Per scrivere la Commedia Dante ha dovuto plasmare a tavolino la lingua in cui l’ha scritta, trasformando un linguaggio ancora incolto, immaturo, impiegato fino alla fine del Duecento solo per scritture semplici, brevi poesie religiose o d’amore, libri di conti o di memorie, in una lingua di alta cultura, capace di opere complesse, come il Convivio o la Commedia, per le quali tradizionalmente si usava unicamente il latino. Dante ha avuto l’intuizione geniale che il tempo del latino è finito ed è iniziato quello di una lingua nuova, definita nel Convivio “luce nuova, sole nuovo”, che illuminerà il mondo e darà sapienza a coloro che verranno. Ragiona su questa lingua, nel De vulgari eloquentia, immagina un volgare composito formato con le parlate di varie regioni d’Italia, poi fa la sua scelta: e adotta il volgare fiorentino, che in quanto lingua della Commedia, e sul modello di questa, diventerà la lingua italiana. Unica grande lingua di cultura europea che si è affermata a quell’altezza cronologica in forza del prestigio dell’opera che ne offriva il modello, diventata poi lingua nazionale e rimasta, grazie alla perfezione di quel modello, pressoché invariata fino ad oggi. E anche questo è un nostro debito verso Dante».
Ma oggi la “Commedia” è un libro ancora da leggere o solo da studiare?
«È stato detto, da autorevoli lettori non inclini alla blandizie (fra gli altri, da Eugenio Montale), che Dante è un “miracolo” : tale non solo per l’altezza ineguagliata della sua poesia, ma anche per la durata, anch’essa ineguagliata, della sua popolarità, che perdura inalterata nel tempo e nello spazio; se mai in crescita nei tempi recenti. Ciò è dovuto non solo al fascino delle sue pagine, che attirano legioni di lettori in tutto il mondo, ma anche alla pratica di mantenere un “contatto» con lui, attraverso le cosiddette Lecturae Dantis, che da circa due secoli si ripetono da ogni parte e attraggono innumerevoli ascoltatori. Quando si è conosciuto Dante a scuola (dico in Italia, ma il fenomeno si ripete in moltissimi Paesi, anche lontani), specialmente quando la lettura è stata guidata da buoni maestri, si stabilisce un rapporto profondo con il poeta, per cui lo si legge ancora, e più lo si approfondisce, attraverso le “letture” di cui ho detto, o anche letture autonome, più si è stimolati a rileggerlo. E ogni rilettura porta a scoprire aspetti nuovi e suggestivi di quella poesia».