Dante Alighieri, oltre a Bonifacio VIII, colloca altri Papi negli inferi della Commedia. Ecco cosa pensava davvero il poeta della Chiesa cattolica
Bonifacio VIII muore nel 1303 d.C., quindi Dante non potrebbe spedirlo all’inferno della sua Commedia, perché il viaggio si svolge nel 1300.
Eppure l’Alighieri, pur di far figurare il Papa dello schiaffo tra i dannati, inventa un escamotage. Dante deve del resto un esilio a Bonifacio VIII. Difficile resistere ad un risarcimento almeno letterario. Questo è solo uno degli episodi in cui la vicenda dantesca, l’opera magistrale del poeta fiorentino e la storia della Chiesa cattolica si intrecciano.
Dante Alighieri era affascinato dal francescanesimo e dal poverello d’Assisi. Bonifacio VIII era considerato alla stregua di anti-Papa dai frati minori. E Jacopone, nelle sue opere, non fa nulla per nascondere la sua opposizione. Anche oggi esistono polemiche all’interno del mondo ecclesiastico, mai ai tempi la questione era molto più violenta. I documenti ufficiali mediante cui adesso vengono espressi dissapori nei confronti dell’andazzo della Santa Sede sono testi al miele se confrontati con i versi dell’epoca. Una somiglianza c’è: nel 2020, come nel 1300, c’è chi pensa che la Chiesa cattolica debba andare incontro al mondo e chi, al contrario, pensa che il monopolio della spiritualità sia l’unico da perseguire. Trattasi di constatazioni simili per contesti molto diversi. Di sicuro l’Alighieri preferiva la Chiesa delle origini, quella povera, alla versione che conosce in vita.
I pontefici contemporanei a Dante subiscono una sorte vaira: alcuni non vengono proprio citati, mentre Clemente IV sì, in un canto del Purgatorio. Lo spartiacque individuato per la collocazione dei Papi nella Commedia è la donazione dell’imperatore Costantino che il poeta fiorentino ritiene vera. Poi gli storici reinterpreteanno quel documento alla stregua di un falso. Fatto sta che Dante pensava in sintesi che più o meno tutti i pontefici saliti sul soglio di Pietro in seguito alla donazione imperiale meritassero gli inferi: “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!”, ha scritto l’autore della Commedia. Il ragionamento di Dante ruota attorno alla “avidità”. E a Costantino non rimprovera appunto l’adesione al cristianesimo, ma il principio di un fenomeno che potremmo definire corruttivo.
Il palcoscenico in cui Dante esprime le sue posizioni sui Papi è il diciannovesimo dell’Inferno: in quel canto vengono annoverati i pontefici “simoniaci”, ossia coloro che avevano ceduto al potere temporale, perdendo più di qualcosa sul terreno della spiritualità. Grande ammirazione, invece, viene riservata ai primi pontefici della storia della Chiesa cattolica. Già, l’Ecclesia negli anni leggerà ed analizzerà i capolavori di Dante, forse provando ad adattare alcuni messaggi, in un certo senso a spegnerli. Benedetto XV dedicherà un’enciclica al sommo, ma in molti, in specie negli ambienti letterari, noteranno la profonda avversione provata dall’Alighieri verso certa evoluzione della Chiesa.
Nel ventisettesimo del Paradiso è del resto San Pietro a tirare bordate: “Non fu nostra intenzion ch’a destra mano d’i nostri successor parte sedesse, parte da l’altra del popol cristiano; né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse”. La Chiesa, in buona sostanza, non sarebbe dovuta diventare quella che è stata da Costantino in poi. E l’apostolo “salva” proprio i primi successori: “Sisto e Pio e Calisto e Urbano”, ma anche Lino ed Anacleto. E ancora San Pietro: “In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci”. Il primo Papa chiama i consacrati “lupi famelici”. E questo ci aiuta non poco a comprendere quale fosse la visione dell’Alighieri sul clero a lui contemporaneo.
Un destino molto diverso viene riservato a Niccolò III, Celestino V (quello del “gran rifiuto” poi divenuto Santo, che qualcuno ha associato a Joseph Ratzinger in seguito alla rinuncia del tedesco), Clemente V e appunto Bonifacio VIII, che per Dante si trovano all’inferno. Purgatorio, invece, per il “goloso” Martino IV e per Adriano V. Di Giovanni XXI e Giovanni XII si parla nel Paradiso, ma al secondo non vengono risparmiate critiche dantesche. Insomma il poeta fiorentino, che oggi è minacciato di censura dal politicamente corretto, non faceva certo sconti a quella stessa Chiesa che oggi ne canta la straordinarietà.
Forse Dante oggi sarebbe stato un “tradizionalista” o un “conservatore”, che dir si voglia, sempre pronto a rimprovere alle alte sfere vaticane stili, comportamenti e prese di distanza dottrinali nei confronti della Chiesa delle origini.