Bonconte da Montefeltro

Cavaliere coraggioso reso immortale da Dante: la storia di Bonconte da Montefeltro

Una figura centrale non solo nella battaglia di Campaldino, consegnata all’immortalità grazie alla Divina Commedia

Bonconte da Montefeltro, opera di Mario Venturi

Tra le figure di politici, condottieri e religiosi, uomini e donne del ‘300 (e non solo) consegnati all’immortalità dalla Divina Commedia c’è sicuramente un uomo che merita una nota a parte, soprattutto per la considerazione che aveva Dante di lui. Un altro dei condottieri scomparsi a Campladino, nella celebre battaglia dell’11 giugno 1289, quella che pose fine all’indipendenza di Arezzo. Si tratta di Bonconte da Montefeltro, esempio del nobile cavaliere che si mette al servizio del proprio signore fino all’estremo sacrificio. Ma Bonconte è anche un esempio per la cristianità come racconterà Dante.

Bonconte da Montefeltro sappiamo che nacque attorno al 1250, discendente della casata dei signori di Urbino. Il padre era il conte Guido da Montefeltro – detto anche ‘Il Vecchio‘ – celebre condottiero ghibellino, signore della contea di Montefeltro, protagonista di imprese militari nella Romagna. Secondo alcuni Bonconte nacque ad Arezzo e da qui il legame con la città dell’oro.

Il padre, come da tradizione, lo avviò all’uso delle armi e Bonconte apprese talmente bene quell’arte da divenire uno dei condottieri e cavalieri più intrepidi e vittoriosi di quegli anni. Fu tra coloro che cacciarono i guelfi da Arezzo nel 1287 e un anno più tardi inseguì e annientò le armate senesi alle ‘Giostre del Toppo‘, altro episodio narrato da Dante.

Quel sabato di giugno del 1289 anche Bonconte era nella piana di Campaldino, accanto a Guglielmino degli Ubertini e Guglielmo dei Pazzi. Secondo alcuni ebbe anche a che ridire con il suo vescovo e signore per le strategie militari, ma qui la storia sconfina nella leggenda e viceversa. Ad ogni modo Bonconte partì all’attacco facendo parte dei 12 paladini, 12 cavalieri che assalirono per primi quella linea che sembrava impenetrabile formata dai fiorentini.

“Al grido di ‘San Donato cavaliere’ si lanciarono all’attacco”. I 12 paladini di Campaldino

Bonconte si distinse per coraggio e valore militare, combattendo fino allo stremo delle forze seppur accerchiato dai nemici che lo ferirono a morte. E qui la storia si unisce alla letteratura. Dante racconta nel V canto del Purgatorio che Bonconte, ferito a morte alla gola si allontana dal campo di battaglia arrivando fino in prossimità dell’Archiano. Sentendo sopraggiungere la morte, Bonconte chiese perdono dei suoi peccati, formando una croce con le braccia. Le preghiere alla Madonna furono ascoltate. Un angelo ne portò l’anima in Purgatorio, nel girone di coloro morti per ‘morte violenta‘, ma il demone che pregustava di portare un’altra anima all’Inferno si arrabbiò e fece ingrossare l’Archiano sulle cui rive era il corpo di Bonconte. Le acque portarono via per sempre le spoglie mortali di uno dei più abili condottieri del ‘300.

Tra storia, leggenda e letteratura

È evidente che Dante dovesse nutrire della stima nei confronti di Bonconte da Montefeltro. Il poeta non è mai stato tenero nei confronti dei suoi contemporanei. Se ha inserito Bonconte nel Purgatorio, simbolo del pentimento cristiano in fin di vita dopo una vita da peccatore, è perchè sicuramente c’era una sorta di ammirazione che ha portato Dante a spiegare così la scomparsa del corpo di Bonconte che effettivamente non venne mai ritrovato dopo la fine della battaglia. L’autore della Divina Commedia conosceva fin troppo bene i luoghi della battaglia avendo combattutto anche lui quel sabato a Campaldino ed ecco che la storia si fonde con la letteratura rendendo un uomo immortale.

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