Venezia 67. Fuori Concorso
“LA COMMEDIA” di Amos Poe
di Livio Meo
Pubblicato sabato 4 settembre 2010 – NSC anno VI n. 23
Il regista americano Amos Poe presenta alla 67. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia un documentario sperimentale ispirato al capolavoro letterario di Dante Alighieri.
La commedia di Amos Poe ricostruisce un viaggio intimo e luminoso nei ricordi e nelle emozioni dell’autore. L’esperimento dell’artista statunitense, capostipite del cinema indipendente americano, prende spunto dalla celeberrima opera dantesca: la recitazione dei frammenti tratti dalla Divina Commedia si fonde con le immagini e con i suoni per comporre un insieme dinamico e suggestivo. Poe si è inoltre ispirato a Edward Muybridges, reputato uno dei pionieri del cinema per la scoperta della fotografia in movimento alla fine dell’Ottocento. Infatti il regista si affida esclusivamente alla forza evocativa degli scatti fotografici e alle connesse sperimentazioni grafiche, adottando un linguaggio originale e idoneo a stimolare la curiosità dello spettatore.
La struttura dell’opera si attiene allo schema della tripartizione dantesca, a partire dalla quale Poe riordina e assembla materiali e ricordi eterogenei. Nella prima parte, dedicata all’Inferno, fotografie di un viaggio in Italia e in Francia si susseguono e si mescolano fino a compenetrarsi l’una nell’altra. Le immagini subiscono una caotica metamorfosi in colore e perdono la capacità di raffigurare qualsiasi oggetto materiale; la musica jazz e le strofe accompagnano la graduale trasformazione e la potenza evocativa delle forme astratte e dei colori spiazza lo spettatore. Durante la fase dell’attraversamento del Purgatorio, l’acqua diventa l’elemento fondamentale: le tonalità di azzurro prendono il posto dei colori caldi che caratterizzavano il passaggio infernale e i giochi di luce subacquei creano un’atmosfera distensiva e rasserenante. La purezza dell’acqua sembra attenuare l’istintivo smarrimento infernale e proiettare verso una dimensione ancor più intima. Il terzo e ultimo livello in cui si imbatte lo spettatore, il Paradiso, è costellato dalle immagini raffiguranti una donna. Il viaggio di Poe trova il suo compimento nella visione del volto della sua amata e nel compiacimento per i sorrisi e gli sguardi carichi di complicità immortalati dalla macchina fotografica. La donna appare il fine dell’errare metaforico dell’autore: l’ossessione che lo ha portato ad attraversare l’inferno ed il purgatorio si materializza sullo schermo come una presenza limpida, eterna, quasi irraggiungibile.
L’esperimento cinematografico di Amos Poe stupisce per la capacità di destare emozioni attraverso uno stile molto particolare. La continua metamorfosi grafica subita dalle immagini e la passionale recitazione dei versi danteschi costringono lo spettatore ad immergersi nelle forme affioranti sullo schermo e a condividere le sensazioni rievocate dal regista.