LETTERA APERTA SU “DANTE E BEATRICE” E SUGLI STUDI UNIVERSITARI SU DANTE IN RISPOSTA ALLE STIMOLANTI E-MAIL INTERLOCUTORIE INVIATEMI DAL PROFESSOR ALBERTO CASADEI DOCENTE DI ITALIANISTICA ALL’UNIVERSITÀ STATALE DI PISA.
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Capitolo I
Alcuni presupposti della disputa a partire dal problema posto dalla festa di oggi.
Oggi, in Firenze, giovedì 2 Febbraio 2012, festa della Purificazione della beata Vergine Maria e, ugualmente, della Presentazione di Gesù bambino al tempio in braccio alla Madonna, o della Candelora, e al tempo stesso anche festa dell’apparizione, per la prima volta, di Beatrice a Dante sia pure all’insaputa dei secolari ‘STUDI SU DANTE’: ivi compresi quelli contemporanei assai stimolanti ed interessanti del professor Alberto Casadei. Ma potrebbe esserci, a spiegazione del fatto che l’Accademia non abbia saputo della mia scoperta del giorno della prima apparizione di Beatrice a Dante, come anche di altre mie, più di un motivo culturale ed anche inerente un diverso metodo di studio e, da qui, le premesse per l’apertura, appunto, di una disputa. Di chi la ragione?

Seguendo le indicazioni del CALENDARIO “stile antico fiorentino” adottato da Dante nella COMMEDIA, nella VITA NUOVA e nel CONVIVIO e che parte da quell’anno in cui la Natività di Cristo cade di domenica, e quindi la Sua Incarnazione risultante avvenuta, necessariamente, di venerdì, la Vergine Maria avrebbe simbolicamente condotto Gesù bambino al tempio, più precisamente di quanto precedentemente indicato, il GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO DEL 2° ANNO DOPO CRISTO del nostro computo storico. Conseguentemente Beatrice sarebbe apparsa per la prima volta a Dante (Vita Nuova, II, 1-2) il VENERDÌ 2 FEBBRAIO 1274 del nostro computo storico, sia pure all’insaputa, come ho già detto, della Critica dantesca.

Analizzando la festa di oggi relativamente al suo processo costruttivo-costitutivo, al senso che ha, e all’utilizzazione che ne fa Dante, possiamo intanto affermare che il 2 Febbraio è, ad un tempo, festa di Maria (Luca, 22 – 38; Luca II, 29-35) e di Beatrice (Vita Nuova, II, 1-2). Di Maria perché è stabilito, come vedremo, dalla Teologia liturgica sulla scorta del Vangelo di Luca; e di Beatrice poiché viene sentenziato da Dante in apertura della VITA NUOVA col ricorso alle scienze medievali di più alto rango, cioè col ricorso a quelle nobili e nobilissime e perciò ontologicamente più complesse. Se così, saremo arrivati ad un primo e solido punto di partenza per giudicare della validità del mio indirizzo di studi, nonché per criticare, viceversa, l’insufficiente percorso letterario seguito dai vecchi e nuovi Studi Accademici su Dante: poiché la presenza di un legame fra Maria e Beatrice viene comunemente riconosciuta, e come potrebbe essere diversamente!, mentre qui, nel caso anche di questa mia scoperta, saremo di fronte ad un riscontro scientifico-oggettivo di tale comunione spirituale che finirebbe per creare una forte sinergia a tutta la già nota architettura mariologico-dantesca. Un “riscontro scientifico-oggettivo” seguendo le scienze medievali di più alto livello non sarebbe infine solo la riprova di una verità, di una situazione che già risulta dichiarata letterariamente, ma costituirebbe anche l’introduzione alla scoperta di un modo inatteso di comporre del Poeta, e fors’anche medievale, tale da capovolgente l’idea storico-culturale che ci si è fatti fino ad oggi della poesia e del vissuto medievale.

Se nessun esegeta ha mai saputo indicare con precisione matematica il giorno della prima apparizione di Beatrice a Dante, nonostante che lo stesso Poeta le abbia dato la massima importanza poiché solennemente la mette subito in apertura della VITA NUOVA (II, 1-2), e perciò con un entusiasmo scientifico che si caratterizza per la sua discrezione, quasi a voler anticipare il delicatissimo e nobilissimo senso di tutta l’opera, io essendoci al contrario riuscito vorrà pur dire qualcosa. E invece no! Ma se avessi ragione? Di solito mi si risponde, purtroppo, con una domanda retorica, e non affatto entrando nel merito: come se fosse riprovevole farlo o, peggio ancora, e come avrebbe potuto dire Dante, perché “non eran da ciò le proprie penne” (Par., XXXIII, 139), cioè quelle dell’esegesi tradizionale. Retoricamente infatti di solito mi si domanda: “Ma che importanza può avere se questa apparizione avvenne in un giorno invece che in un altro?” Questo perché, con mentalità moderna, gli esegeti interpretano l’episodio solo da un punto di vista cronologico-storico, e perciò astratto. E se esso avesse invece, e soprattutto, una valenza astrologico-simbolico-liturgica? Averlo ignorato potrebbe essere stato catastrofico da un punto di vista culturale e di Italianistica.

La disputa annunciata, a partire dalla festa mariana e dantesca di oggi, dovrebbe adesso potersi dichiarare aperta, anche perché la nostra civiltà non sopporterebbe che gli Studi Universitari, stando le cose su Beatrice e Maria nella maniera anzi detta con l’aggiunta di tutto il resto, possano passare impunemente sotto silenzio il problema, ovvero senza lentamente regredire. Ci saranno poi anche altre cento occasioni per ribadire, controllare e, se qualcuno lo volesse, addirittura per acclamare questo mio nuovo percorso culturale e metodologico, ma è logico e naturale che io parta da qui, dalla festa di oggi. Dante, credo, ne andrebbe orgoglioso.

Dell’esistenza di un calendario che parte, computisticamente, da Cristo nato di domenica come a noi interesse qui adottare per risolvere il problema, viene testimoniato anche in chiusura della “Quaestio de aqua et de terra” e per cui l’opera, indipendentemente che sia lavoro di Dante o meno, negli studi sul medioevo e sullo stesso Dante viene ad assumere, almeno per me, un’importanza esegetico-strategica assoluta. Tale calendario io lo chiamo “stile antico fiorentino”: ed è computando sul nostro calendario odierno, o storico, altresì tenendo però conto di Cristo nato di domenica che, obbligatoriamente, arriviamo a questo nostro giovedì mariano del 2 febbraio del 2° anno dopo Cristo in cui la Madonna realmente portò (realismo simbolico-liturgico e calendariale) fra le sue braccia Gesù bambino al tempio. A datare da questa festa, anche per simpatia, arriviamo al giorno del primo incontro fra Beatrice e Dante del ricordato venerdì 2 febbraio 1274 del nostro computo storico (Vita Nuova, II, 1-2) e alla festa di oggi.

Per quello che ho affermato fino ad ora sulla molta importanza strategica della “Quaestio”, mi si prenda, per il momento, sulla parola: quindi nonostante che l’opera venga di solito trascurata in quanto ritenuta scarsamente scientifica e quindi, negli studi su Dante e sul medioevo, da doversi quasi scartare. Comunque sarebbe sotto l’aspetto di REPERTO scientifico trecentesco che essa verrebbe ad assumere, anche per me, un grosso valore. Quando gli esegeti la prendono in esame è soprattutto per sostenere e dimostrare che non è opera di Dante, fors’anche per sollevare il Poeta dall’avere fatto considerazioni geometriche poco affidabili. Ma siccome il computo computistico-calendariale dell’èra “volgare”, o “cristiana”, a partire da Cristo nato di domenica, non è mai stato preso in considerazione dagli storici moderni, né dai dantisti, né dagli esperti di calendari antichi, mentre in chiusura della “Quaestio” si indica come possibile e giusto, anzi quasi ammonendo chi procedesse diversamente, ecco perché l’opera viene ad assumere una importanza solenne. Essa costituisce uno dei pochi punti di partenza, se non l’unico del tutto chiaro, per accogliere l’ipotesi di andare, negli studi su Dante, nella direzione domenicale indicata che poi farà approdare ad un nuovo senso poetico-letterario di tutta l’OPERA dantesca.

È più che noto, e fa parte del nostro vissuto quotidiano, considerare e vivere la giornata domenicale come il giorno speciale, eccezionale, di tutta la settimana: e questo è tanto più vero se si segue la nostra sacra Teologia liturgica. Se per un cristiano la domenica è festa liturgica di precetto, allora non meraviglierà che Dante abbia voluto computare l’éra cristiana da Cristo nato di domenica e quindi necessariamente incarnatosi di venerdì. Se avesse proceduto in tale modo non si vede cosa gli si sarebbe potuto rimproverare, specialmente poi se nelle sue opere, e a maggior ragione nella COMMEDIA, avesse dato maggiore importanza alla SACRA TEOLOGIA LITURGICA, piuttosto che alla SACRA TEOLOGIA RAZIONALISTA. Infatti la domenica è Domenica soprattutto per il suo senso e la sua importanza liturgica. Ma Dante apprezza la liturgia? Seguendo i tradizionali Studi su Dante non risulta affatto, se non in piccola e sbrigativa misura dal recente lavoro del 1999 di Mons. Dante Balboni apparso diversi anni dopo le mie scoperte divulgate dal 1993 al 1995. In base ai miei studi la Commedia inizia infatti per la festa liturgica dell’Annunciazione a Maria ed Incarnazione di Cristo del sabato 25 marzo del 1301 del nostro computo storico e finisce il Venerdì Santo 31 marzo 1301 nel momento del versamento del prezioso sangue di Cristo per Noi. Più liturgico di così Dante non avrebbe potuto essere ed io l’ho dimostrato anche nell’intervista fattami da Umberto Cecchi, sulla TV CANALE 10, andata in onda il martedì 11 marzo 2008 alle 12h.00′. Cfr: YOUTUBE: http://www.youtube.com/watch?v=wV4vEG15yjA.

La SACRA TEOLOGIA LITURGICA e la SACRA TEOLOGIA RAZIONALISTA? Sempre di due “teologie” si tratta, come dimostra tutta la storia del Neoplatonismo ed anche il recente CONCILIO VATICANO II nella sua “Costituzione conciliare SACROSANCTUM CONCILIUM sulla sacra liturgia del 4 dicembre 1963”. Anch’io avrei voluto partecipare a questo Concilio sulla liturgia e non è detto che non ci sia riuscito dal momento che MONSIGNOR ENRICO BARTOLETTI, il traghettatore della Chiesa Italiana dopo il Concilio, l’Alter Ego di papa Paolo VI, in partenza per Roma così mi scriveva da Lucca in data 22 Settembre 1963: “Da Roma, al Concilio, penserò spesso anche a te e forse porterò qualcosa delle tue salutari inquietudini.” Quindi è con la benedizione di un futuro santo (la causa per la sua canonizzazione si è aperta a Lucca l’11 novembre 2007) che avrei scoperto, anche in Dante, l’importanza della liturgia.

Dante, sempre all’insaputa dei suoi critici, sotto il nome della sola “Teologia, che piena è di tutta pace” (Convivio, II, XIII, 8; II, XIV, 19), pone questa stessa “sacra Teologia liturgica” nel cielo “più magno et ultimo”, il decimo Empireo. Egli potrebbe anche non aver mai letto la “Questio”, né conosciuto il suo autore, e pur tuttavia essere rimasto affascinato da Cristo nato di domenica e quindi dal calendario che la “Questio” esibisce e ricorda con forza.

Forse Dante, occupandosi di poesia, si sarà effettivamente sentito costretto, o portato, o indotto, come pensano quasi tutti, a non dare importanza ai numeri, alla loro successione matematica, e quindi nemmeno al valore simbolico-liturgico-astrale dei sette giorni della settimana e perciò a Cristo nato nel settimo giorno, la domenica? In conseguenza della sua indole poetico-letteraria, i più pensano, come se Dante fosse un poeta del Romanticismo, si sarebbe sentito intimamente trasportato a non prestare attenzione ad una metafisica dei numeri, o alla Numerologia, o alla Gematria quale scienza kabbalistica del valore numerico delle parole e quindi quale scienza da collocarsi nell’ottavo cielo delle Stelle Fisse. Risulta invece abbastanza evidente l’opposto, e cioè che il Poeta, per mentalità, desse ai numeri una assoluta importanza quale struttura dell’universo e quindi divina: ma l’assunto potrebbe essere dimostrato anche ricorrendo alla logica-dialettica. Per questo uno stretto computare, sia a riguardo delle ore (CONVIVIO, Canzone seconda: ” Non vede il sol, che tutto ‘l mondo gira, / cosa tanto gentil, quanto in quell’ora che luce ne la parte ove dimora / la donna di cui dire Amor mi face), che dei mesi (VITA NUOVA, II, 1-2), che degli anni a partire da Cristo nato nel settimo giorno, cioè di Domenica (Inf., XXI, 112 – 114), dovrebbe essere stato per lui indispensabile ed esaltante ed infine, per noi, se tale egli fosse veramente, stimolante per incominciare ad ipotizzarlo in maniera più autentica. Un modo diverso, come un uomo diverso, se fosse realmente possibile, prima andrà comunque sognato, presupposto; diversamente nessun controllo, alcun riscontro, potrà essere messo in cantiere e resteremo fermi. Ma si è preteso veramente di insegnare a Dante, dicendo che era un poeta e perciò implicitamente qualcosa di opposto ad uno scienziato, come avrebbe potuto fare ad essere il più grande poeta, il più grande, complesso e saggio letterato? Senza rendersene conto io credo che la critica abbia, ingenuamente, percorso proprio questa strada. Meglio sarebbe stato, tacendo, aprire bene gli occhi e drizzare meglio le orecchie, per rimanere fermi a vedere come lui si comportava, quale poeta-scienziato, in quei punti in cui, per cultura, noi siamo al contrario portati a indicare quali dettagli di poco conto.

Dal nostro calendario odierno, o computo storico, con Cristo nato di sabato, risulta che la Beata Vergine avrebbe portato Gesù bambino al tempio il MERCOLEDÌ 2 FEBBRAIO DEL 1° ANNO DOPO CRISTO del nostro computo storico mentre, se calcoliamo in base alla chiusura della “Quaestio” e a Dante, e quindi con Cristo nato di domenica, Lei, come ho già ricordato, lo avrebbe portato il GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO DEL 2° ANNO DOPO CRISTO, sempre indicando il fatto sul nostro computo storico. La differenza è di un intero anno che risulterà fondamentale nello studio dell’OPERA DANTESCA. Siccome le opere di Dante non sono mai state affrontate partendo da questo presupposto computistico-domenicale, già si può immaginare perché possano essere state privare di qualcosa di fondamentale.

Intanto, se computiamo da Cristo nato di domenica, se al contempo il viaggio della COMMEDIA, per più motivi deve avvenire milletrecento anni dopo la nascita di Cristo (“Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta, / mille degento con sessanta sei / anni compiè che qui la via fu rotta – Inf., XXI, 112 – 114. Da cui 1266 più 34 anni della vita di Cristo [Convivio, IV, XXIII, 10] = 1300 anni computisticamente da mettere in conto), lo stesso viaggio risulterebbe avvenuto, in tal caso, non nel 1300, ma nel 1301 del nostro computo storico, poiché 1° dopo Cristo, più 1300 anni, fa anno 1301. In altre parole, sommando milletrecento anni alla Natività di Cristo di domenica, essendo essa avvenuta la Domenica 25 dicembre del 1° anno dopo Cristo, arriviamo all’anno, appunto, 1301. Ugualmente calcolando “ab incarnazione Domini”: venerdì 25 marzo del 1° anno dopo Cristo del nostro computo storico, più milletrecento anni, uguale 1301. La differenza fra il nostro calendario con Cristo nato di Sabato, e quel calendario ricordato anche dalla “Quaestio” che invece lo fa nascere di domenica è, appunto, di un anno. Se il viaggio fosse veramente avvenuto nel 1301, e cioè come da me accertato fin dal 1993 poiché l’arco da me indicato va dalla festa liturgica dell’Annunciazione del sabato 25 marzo 1301, alla liturgia del Venerdì Santo 31 marzo 1301, la COMMEDIA sarebbe allora da porsi sul 1301 e quindi, inaspettatamente, fuori del periodo del primo giubileo di papa Bonifacio VIII. Ed è qui che cominciano le doglie, e non solo negli esegeti di stretta osservanza cattolica che, intimamente, sentono di dover essere più devoti al papa che non alla ricerca della verità, ma anche rispetto alla possibilità di pubblicare, e ancor più di divulgare, tale scoperta. Insomma si tratterebbe di un parto culturale molto difficile e, per alcuni importanti ambienti, perfino sgradito. Il Giubileo di papa Bonifacio VIII andava infatti dal venerdì 25 dicembre 1299 al sabato 24 e alla domenica 25 dicembre del 1300 del nostro computo storico, quando il viaggio, appunto, avviene nella primavera del 1301. È ipotizzabile che i Fiorentini e Dante, oltre ad accettare il periodo giubilare di Bonifacio VIII che partiva da Cristo nato di sabato, abbiano desiderato volerne fare uno anche con Cristo nato di domenica. In questo caso Dante risulterebbe però contrapporsi alla bolla di indizione papale. Egli parrebbe quindi un eccentrico, uno scismatico, un semi-anarchico, dispiaciuto del giubileo papale soprattutto nella misura in cui lo stesso Bonifacio VIII aveva, con la Sua ” Summa gratia non bullata” del 25 dicembre 1300 (Cfr. Cardinale CAESAR BARONIUS ET ODORICO RAYNALDO, ANNALES ECCLESIASTICI, tomus XIIII, Jesu Christi Annus 1300, Bonf. VIII PP. Annus 6 – I. W. Friessem, 1692, p. 540), vietato che si facesse un altro giubileo, sempre “a nativitate Domini, ma a computare da quell’anno “ab Incarnatione” che aveva Cristo nato di domenica. Se così, con la COMMEDIA nel 1301 del nostro computo storico, Dante parrebbe voler celebrare un giubileo ad integrazione, o surrogazione, di quello papale, di quello cioè che i ricordati ANNALES ECCLESIASTICI, redatti dal Cardinale Cesare Baronio e da Odorico Raynaldo, sentenziano che non avrebbe dovuto essere celebrato. Ma se tutto questo fosse risultato ipotizzabile, e direi controllabile, da molti secoli e, al tempo stesso, se l’Autorità Ecclesiastica avesse avuto durante questi stessi secoli un notevole potere, una certa influenza sulla politica e sulla cultura, sarebbe stata questa stessa Autorità Ecclesiastica così nobile e amante della verità da agevolare che la verità sul viaggio della COMMEDIA e su Dante venisse alla ribalta, cioè contro il suo proprio mondano interesse? Da qui il mio lavoro di ricerca e il mio interesse alla disputa che potrà all’inizio essere percepito come stancante, troppo ancorato ai dati cronologico-matematici, ma che se il lettore avrà un po’ di pazienza nel seguirmi, finirà per sperimentare un altro Dante e un altro Medioevo.

Cerchiamo adesso di entrare ancor più nel merito, dunque mettiamo sotto la lente di ingrandimento quello che abbiamo detto fin qui cercando di approfondire in quanto la questione l’abbiamo dichiarata esiziale.

Quasi tutti conoscono bene e ricordano il semplice calendario “STILE FIORENTINO” che computa l’anno, sia pure “ab incarnatione Domini”, da quello in cui Cristo risulta nato di sabato, il sabato 25 dicembre del 1° anno avanti Cristo, ed è per questo che io invece chiamo quello ancorato alla Quaestio de aqua et de terra, con Cristo nato di domenica, e adottato da Dante, antico fiorentino, cioè calendario “STILE ANTICO FIORENTINO”, e ciò al fine di distinguerlo, di rimarcarne la differenza.

I computi calendariali, relativamente al giorno di inizio nell’arco dei 365 giorni dell’anno, nel medioevo erano soprattutto, per importanza, tre. A) Il computo detto “stile comune” che si rifaceva alle disposizioni di Giulio Cesare e all’insediamento dei Consoli romani e che dunque computava dal 1° gennaio di ogni anno. B) il computo “ab incarnazione Domini” che partiva dal giorno dell’Annunciazione a Maria e incarnazione di Cristo e perciò dal 25 marzo. C) il computo “a nativitate Domini” che partiva dal giorno della nascita di Cristo e perciò dal 25 dicembre. Noi adesso, per afferrare meglio il pensiero e la vita di Dante, abbiamo di fronte a noi solo due calendari “ab incarnatione Domini”, entrambi fiorentini, e per cui relativamente al giorno di inizio nell’arco dei 365 giorni dell’anno, come sopra ricordato, non sussistono problemi: iniziano entrambi il 25 marzo. È però diverso l’anno di inizio, ed è questo il punto, poiché quello semplicemente “STILE FIORENTINO”, in armonia con quello, sempre “ab incarnazione Domini”, del computista Dionigi il Piccolo (VI secolo dopo Cristo), computa l’era “cristiana”, o “volgare”, da quell’anno in cui Cristo risulta nato il sabato 25 dicembre del 1° anno avanti Cristo, o 753 “ad Urbe condita”, mentre quello di cui riferisce la “Questio” ed è adottato da Dante, computa, sempre “ab Incarnatione”, da quell’anno in cui Cristo risulta, appunto, nato la domenica 25 dicembre del 1° anno dopo Cristo, o 754 “ad Urbe condita”. Seguendo il semplice e ben noto a tutti “stile fiorentino” Cristo stesso, la domenica 25 dicembre del 1° anno dopo Cristo del nostro computo odierno, o storico, non nasceva affatto come indicato dalla “Quaestio”, poiché risultava essere oggettivamente al compimento di un anno pieno di età. Quindi sul nostro computo odierno, o storico, noi ci troviamo sul binario calendariale di un Cristo nato di Sabato. Ne consegue che tutte le date che noi già conosciamo riconducibili all’OPERA dantesca, se sono state espresse seguendo il calendario odierno, o il semplice “stile fiorentino”, per ricondurle al computo della “Quaestio” , dello “stile antico fiorentino”, andrebbero decurtate di un anno intero; se invece sono state espresse in “stile antico fiorentino”, per riportarle sul nostro computo odierno li dovremmo aggiungere un anno in più. E si tratta perciò di un computo, il compimento del primo anno di vita di Cristo la domenica 25 dicembre del 1° anno dopo Cristo, che la “Quaestio” e Dante escludono recisamente poiché per loro in questo stesso giorno Cristo stava nascendo. Il computo calendariale dall’anno prima, dal sabato 25 dicembre del 1° avanti Cristo, era stato rimesso in vigore da papa Bonifacio VIII e, in base ai miei studi, non piaceva, a Dante, per nulla. Sarà importante?

La questione, per noi moderni e ai nostri storici, appare secondaria, apprezzabile solo sotto il profilo cronologico, per stabilire meglio alcune date, rimanendo i fatti accaduti, ovviamente, gli stessi. Per gli storici moderni si tratta di un problema matematico ed astratto ma, per Dante, non è affatto così poiché il senso e l’importanza delle feste settimanali allora coinvolgeva le scienze medievali di più alto rango ed in particolare la sacra Teologia liturgica del cielo Empireo e l’Astrologia del settimo cielo di Saturno. Far nascere Cristo, sia pure simbolicamente, di sabato invece che di domenica avrebbe significato per lui tradire alla radice la cultura pagano-classica e quella liturgico-cristiana. Non meraviglierà dunque che vi si sia opposto recisamente. Ma per farsi una ragione di questo sentire, di tale mentalità, e quindi per farsi un’idea, la più autentica e chiara possibile, di cosa fu il medioevo prima di mettersi ad analizzarlo storicamente ed ha pontificare, bisognerà prima afferrarne bene, o meglio, il senso che ebbe, cioè di quali simboli quell’umanità viveva sotto il profilo ontologico-spirituale: e perciò si tratterebbe di mettere a fuoco un punto di vista coinvolgente pienamente il Poeta. Come arrivare tuttavia a farsi a monte del nostro studiare un’idea la più autentica e chiara possibile sul medioevo prima di affrontarlo direttamente? Logicamente appare impossibile però esiste un metodo di studio, spesso dimenticato dagli esegeti di Dante e del medioevo, che può ugualmente condurre agli stessi risultati, alla stessa fertilità dell’analisi. Il metodo giusto, nell’andare avanti, è quello che, nell’andare comunque avanti nonostante la nostra ignoranza, impreparazione e presenza in noi stessi di idee fuorvianti, non si trascuri allora nulla di quello che si legge, nemmeno il più piccolo dettaglio, o calcolo da fare, poiché potrebbe essere lì che, con grande nostra successiva sorpresa e meraviglia, si nasconde la parte a noi sconosciuta della tensione-intenzione con cui viveva l’umanità medievale e Dante. Questo indirizzo dovrebbe però valere, lo dico per inciso, anche durante lo studio di tutte le antiche civiltà e quindi anche a Storia dell’arte antica e ad Archeologia.

All’indicazione precisa del ricordato GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO DEL 2° ANNO DOPO CRISTO in cui la Beata Vergine portò fra le sue braccia Gesù bambino al tempio, e da cui Dante sarebbe stato fascinato fino a decidere di sceglierlo per l’apparirgli, per la prima volta, di Beatrice personaggio (VITA NUOVA, II, 1-2), arriviamo seguendo strettamente questi due episodi.

1°) quello in cui Maria avrebbe partorito Gesù un giorno del Solstizio d’Inverno cadente di domenica, il giorno cioè in cui il Sole entrava nel primo grado del segno del Capricorno e perciò in quello in cui il Sole stesso, come dice Dante, toccava ” ‘l corno de la capra del ciel” (Par., XXVII, 67 – 69), ed era anche domenica: appunto la DOMENICA 25 Dicembre del 1° anno dopo Cristo del nostro computo storico;

2°) quello dei quaranta giorni da dovere trascorrere a partire da tale data e quindi da dovere aggiungere a tale stessa data che necessariamente conducono a questo nostro giovedì 2 febbraio del 2° anno dopo Cristo che poi, con l’aggiunta di 1272 anni, si arriva al giorno della prima apparizione di Beatrice a Dante, venerdì 2 febbraio 1274 del nostro computo storico. Ma intanto perché quaranta giorni da aggiungere alla Natività? Ed è così che ci avviciniamo a cogliere il senso di questa festa tanto cara a Dante.

Il numero quaranta, da un punto di vista simbolico-religioso, è sacro perché simboleggia la fine dell’espiazione a partire da un fenomeno verificatosi a monte. Così fu per i quaranta giorni del diluvio universale e per i quarant’anni del vagabondare dei figliuoli d’Israele nel deserto. Mosè, Elia e Cristo digiunarono quaranta giorni. Cristo è rimasto quaranta settimane nel grembo della Vergine Maria prima di nascere (è nato, avrebbe detto Dante, nel tratto montante della XL settimana, cioè nel tratto della costruzione-costituzione della XL settimana ) e cioè, per quanto riguarda il nostro computo e interessa noi, Egli è rimasto nel grembo di Maria dal Venerdì 25 marzo del 1° anno dopo Cristo in cui si Incarnò, alla Domenica 25 dicembre del 1° anno dopo Cristo in cui Nacque, indicando tale fenomeno, ovviamente, sul nostro computo storico, o odierno. Avendo potuto raggiungere, la Madonna dopo aver partorito Gesù, e Gesù stesso dopo essere nato, questo giovedì 2 febbraio del 2° anno dopo Cristo per il trascorrere di quaranta giorni, da un punto di vista Kabbalistico e pitagorico, e perciò liturgico, significa che loro in questo stesso giorno, proprio per il significato del numero quaranta, avrebbero raggiunto, con l’entrata nel tempio, la compiuta introduzione nell’avventura della nuova umanità, nel nuovo mondo: Cristo quale luce del mondo, di ogni uomo nato in questo mondo; la Beata Vergine Maria quale misericordiosa corredentrice di questa stessa umanità. Ribadisce tale necessità simbolica, e cioè di Cristo incarnato di Venerdì e nato di domenica, anche tutta l’impalcatura astronomico-astrologico-liturgica dell’Opera dantesca ma, per afferrarla, bisognerà considerare a monte che Dante tenga nel massimo conto, analogamente ai Neoplatonici, la SACRA TEOLOGIA LITURGICA e l’ASTROLOGIA: una apprezzamento che, in sette secoli di Studi Danteschi, gli esegeti non sono mai riusciti a fare emergere e, da qui, l’opportunità di un altro argomento di disputa. Se finalmente riuscissimo a discutere di liturgia e di astrologia in Dante potremmo entrare in una fertile ed affascinante rivoluzione esegetico-culturale per non dire di civiltà.

È stato per il desiderio di dare alla nostra sacra TEOLOGIA LITURGICA la massima importanza che un certo indirizzo culturale ha indicato Cristo nato di domenica: un indirizzo che il Poeta farà suo. Se noi lo seguissimo su questa strada gran parte delle questioni dantesche finirebbero lentamente per dissolversi come neve al Sole dissetando il nostro desiderio di conoscenza.

Gesù Cristo è stato fatto nascere il 25 dicembre nel giorno della festa pagana del Sole, del “Natalis Solis invicti”, poiché gli stessi pagani erano in quel periodo sotto l’influenza del Mitracismo e i cristiani stavano facendo di tutto per rapportarvisi, non si vede perché, sempre in omaggio al Sole, sempre per l’influenza della liturgia mitracista nella cultura pagano-classica e quindi sui primi cristiani, tale stesso giorno di nascita non debba essere stato fatto cadere anche “in die Solis”, cioè di Domenica. Si è forse voluto rendere questa festa un po’ meno mitracista? Se Cristo è stato fatto nascere nel giorno in cui il Sole, signore del periodo diurno della giornata, ricomincia annualmente a riguadagnare spazio sulla notte e le giornate si allungano e perciò il 25 dicembre, se questo giorno fosse possibile farlo cadere anche di domenica, cioè nel giorno del Sole, i due episodi simbolici subirebbero una sinergia. Gli episodi sono omogenei e perciò possono simbolicamente confortarsi vicendevolmente rafforzando il senso anche della nostra sacra Teologia liturgica, ovviamente se, per essa, la domenica è importante. Fra l’altro, essendo tutta la Teologia liturgica inserita sui 365 giorni dell’anno è sempre già, anche per questo, in base al moto al Sole. L’anno in base al Sole, il giorno in base alla rinascita annuale del Sole (solstizio d’Inverno), e il giorno, quello settimanale, dedicato sempre al Sole stesso. La cosa è omogenea e qualcuno, nel mondo pagano antico e paleo cristiano. L’avrà osservato e si sarà lasciato fascinare. Se fosse dimostrato che Dante tiene in massimo conto la sacra Teologia liturgica bisognerebbe concludere che non è fuori luogo che anch’egli segua questa completezza astronomico-astrologico-liturgico-solare. E se così risultasse, per una serie di ragioni e di circostanze strettamente connesse il ‘viaggio’ della COMMEDIA risulterebbe avvenuto, adesso per una ragione in più, non nel 1300, ma nel 1301, poiché i 1300 anni compiuti, cioè l’apertura del XIV secolo A Firenze, a computare da Cristo nato di domenica, sul nostro calendario odierno, o computo storico, si esprime rappresentando l’episodio sul nostro anno 1301. Era il sabato 25 marzo 1300 stile antico fiorentino e perciò era, ugualmente, il sabato 25 marzo 1301 del nostro computo odierno, o storico. Se così, assisteremmo alla conseguente e necessaria revisione e ridiscussione di una montagna di libri, come minimo. Il problema è qui affrontato partendo dalla massima importanza che potrebbe avere la Teologia liturgica in Dante. Se essa è importante anche nella COMMEDIA, come a me risulta da vent’anni, l’unico esegeta che può sottrarsi alle mie critiche sarebbe Mons. Dante Balboni del Vaticano. Egli, già collaboratore dell’Enciclopedia Dantesca, nel suo recente lavoro “La Divina Commedia poema liturgico del primo Giubileo” (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1999), mette in risalto che, per ben cento volte, il Poeta cita nella stessa Divina Commedia passi della liturgia cristiana. Già sapendo in po’ chi è Dante il fenomeno non non sarà stato per caso. Nel suo volume il Balboni accenna brevemente a come vent’anni prima si fosse interessato al problema liturgico-dantesco e all’anno del viaggio ipotizzandolo avvenuto, anche lui, nel 1301, e quindi con Cristo nato di domenica, ma pare che non abbia mai ottenuto dal Vaticano un parere incoraggiante la pubblicazione dei suoi sforzi e quindi, né per quelli indirizzati verso la liturgia, né per quelli verso l’anno del viaggio nel 1301, né per quelli volti ad accertare Cristo nato, simbolicamente, di domenica, e per cui pare si sia disfatto negli anni successivi di tutto il materiale raccolto mentre anche il citato volumetto mi pare presupponga, con una certa evidenza, un lavoro ben più ampio. Del resto se fosse emerso, o se emergesse in seguito, che il Poeta fa il ‘viaggio’ nel 1301 e che Cristo è nato di domenica, verrebbe confermato, non solo che Dante stesso fa il viaggio fuori per periodo del Giubileo di Bonifacio VIII, cosa che l’Autorità ecclesiastica non ha interesse ha promuovere, o riconoscere, ma l’indicazione oggi contrasterebbe anche con la recente ‘LETTERA APOSTOLICA SULLA SANTIFICAZIONE DELLA DOMENICA’ di papa Giovanni Paolo II. La lettera enciclica di papa Karol Wojtyla fa infatti dipendere la santificazione della domenica solo dal fatto che Cristo è risorto di domenica, e non anche nato di domenica (Giovanni Paolo II, DIES DOMINI, ed. Paoline, Milano, 1998, pp. 37 e 89). E come potrebbe affermare il contrario senza sconfessare papa Bonifacio VIII? Questa lettera enciclica indirettamente si oppone dunque a come si chiude la “Quaestio de aqua et de terra” e a tutta l’impalcatura dantesca da me evidenziata rendendo con ciò più difficile il riconoscimento, almeno per un cattolico, della verità. In base alle mie scoperte e ricerche è infatti emerso che il Poeta finisce il viaggio, alle ore 12 – 15 del Venerdì Santo 31 marzo 1301 e perciò addirittura esclude la possibilità di inserire la festa della domenica della pasqua di Resurrezione del 1301 nell’arco del viaggio. Per contro è da notare che quasi tutti gli esegeti sostenitori del viaggio nel 1300 puntano a far rientrare la pasqua di Resurrezione nell’arco dei giorni del viaggio, quasi volessero accontentare papa Wojtyla, ma nei loro commentare mai la Pasqua del 1300 è potuta essere posta all’inizio, o alla fine del viaggio, cioè con un significato simbolico-liturgico chiero ed accettabile. Devo aggiungere inoltre che se venisse accolta la tesi della COMMEDIA sul 1301, verrebbe conseguentemente riconosciuta la competenza di Dante almeno in materia ASTRONOMICA poiché tutti ormai sanno che gli astri di Dante matematicamente indicano il 1301. Ma se Dante è preciso da un punto di vista matematico-astronomico, siccome più volte nel CONVIVIO ( II, III, 5; II, V, 16; II, XIII, 30; II, XIV, 7 ) e nella VITA NUOVA (XXIX, 2 ) si richiama a Claudio Tolomeo, all’Autorità più qualificata ed importate in materia ASTROLOGICA, alla “iuxta sententiam Ptholemaei…”, si potrebbe avanzare l’ipotesi che egli segua, come io da sempre affermo, il TETRABIBLOS di Tolomeo, e che quindi nella sue opere ci sia anche molta astrologia che poi sappiamo essere l’anticamera della sacra Teologia liturgica tanto pagana che cristiana. Siccome adesso l’Autorità della Chiesa indica che l’astrologia è da respingere (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, ed. Libreria Vaticana, 1992, art. 2116, p. 527), contrariamente a come la pensava, per esempio, il Dottore della chiesa San Tommaso D’Aquino (SUMMA THEOLOGICA, p.I, qu. CXV, art. 4), se si scoprisse che la Commedia è sicuramente da porsi sull’anno 1301, con Cristo nato di domenica e con tutto quello che segue, pare che finirebbe per troverebbe contraria a questo indirizzo anche l’odierna Autorità Ecclesiastica. Problema non di poco conto al fine dell’accertamento della verità. Dispiace che papa KAROL WOJTYLA, nella sua ricordata Lettera apostolica “DIES DOMINI” sulla santificazione della domenica, per rinforzare l’importanza della festa dopo averla fatta dipendere esclusivamente dalla Resurrezione avvenuta di domenica, abbia puntualizzato che a partire soprattutto dal secolo VI la disobbedienza all’obbligo di andare alla messa domenicale, dopo tre assenze, avesse anche “conseguenze penali”. Mi domando? Sette frustate sulla pubblica piazza? (Giovanni Paolo II, DIES DOMINI, art. 47 – Paoline, Milano, 1998, p.57). Bisognerebbe che qualcuno ci facesse sopra una tesi di laurea. Questo comportamento dell’Autorità ecclesiastica, a partire dalla scomparsa del Neoplatonismo dei primi secoli, contrasta pienamente che l’idea che ha Dante dell’ossequio dovuto alla sacra Teologia liturgica, o Divina scienza, la quale, egli scrive, ” piena è di tutta pace; la quale non soffera lite alcuna d’oppinioni o di sofistici argomenti, per la eccellentissima certezza del suo subietto, lo quale è Dio” (Convivio, II, XIV, 19). Ma se questo è Dante, come avrebbe potuto essere appoggiato, sotto un tal profilo rivoluzionario, dall’Autorità ecclesiastica?

(Seguono circa altre n. 120 pagine che, a richiesta, verranno spedite , per e-mail, al richiedente)

F.to GIOVANGUALBERTO CERI

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