L’ultima omelia di papa Benedetto è stata caratterizzata da una particolare attenzione alla “visione cristiana dell’universo”. Il 6 gennaio, solennità della Epifania del Signore, il Santo Padre ha presieduto la celebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana. In questa occasione, valorizzando la simbolica tipica di questa festa, il papa ha dedicato parte della sua omelia a mettere in dialogo fede e astronomia, tracciando una sintesi di cosmologia cristiana.


 


Nel singolare moto compiuto dalla stella seguita dai Magi, secondo il vangelo di Matteo (2,1-12), i Padri della Chiesa vedevano un segno che «la nascita di Cristo impresse nuove orbite agli astri (cfr Giovanni Crisostomo, Poemi dogmatici, V, 53-64: PG 37, 428-429). Il che è chiaramente da intendersi in senso simbolico e teologico».


 



Questa novità introdotta da Cristo nell’ordine dell’universo è poi approfondita dal Papa nel denso paragrafo – che riportiamo di seguito – in cui cita la celebre conclusione della Commedia dantesca.


 


 


 


 



È l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Paradiso, XXXIII, 145). Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore (cfr Enc. Spe salvi, 5). Se è così, allora gli uomini – come scrive san Paolo ai Colossesi – non sono schiavi degli «elementi del cosmo» (cfr Col 2,8), ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio. Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, “Parola-Ragione” che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia. C’è dunque nel cristianesimo una peculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teologia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca, dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità.


 


 


 


 


 


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