Il regista racconta un progetto che risale al 2002 e che ora finalmente potrà vedere la luce grazie alla presenza di un produttore istituzionalizzato come Rai Cinema. Pupi Avati risponde alle domande con entusiasmo: “Lo chiamo il film della mia vita perché ci sto dietro da diciotto anni. Non è una fiction, che mi sembra un format un po’ riduttivo. Pretendo una dignità e una qualità di qualcosa che rimane”
(Foto ANSA/SIR)

Dopo anni di gestazione, sembra che finalmente il progetto di Pupi Avati sulla realizzazione di un film sulla vita di Dante Alighieri con finanziamenti in gran parte dalla Rai e per il resto da reperire autonomamente stia per andare in porto. Per avere maggiori dettagli sull’operazione, abbiamo intervistato il regista bolognese, quasi 82enne, che volentieri si è prestato alle nostre domande.

Allora Pupi, questo progetto su Dante da quando lo stai coltivando?
C’è una data precisa. Nel 2002 abbiamo ricevuto una lettera dalla neonata Rai Fiction, a firma di Giancarlo Leone e Stefano Munafò, che erano i dirigenti della struttura, che ci confermavano il loro impegno a produrre nel 2003 un film ispirato alla vita di Dante narrata da Boccaccio. È una lettera di cui ho fatto copie, che ho portato più volte in Rai esibendola, ma che solo adesso, diciotto anni dopo, sembra aver sortito qualche risultato.
Abbiamo la certezza che Rai Cinema ne finanzierà una buona parte. L’altra parte la stiamo cercando da soli.
Mi sembra che, con la presenza di un produttore istituzionalizzato come Rai Cinema, si riesca a vedere la fine del tunnel.

Nel 2021 ricorrono i 700 anni dalla morte di Dante. Ma il dato non ci sembra sufficiente a motivare il film. E dunque, perché proprio Dante?
C’è una motivazione più personale e dettata dalla necessità di non penalizzare Dante Alighieri come ha fatto, ad esempio, la scuola italiana. L’approccio a Dante, che chiameremo scolastico, ha fatto sì che questo numero uno – un campione del mondo, direi – sia stato tramandato solo ed esclusivamente per La Divina Commedia, con a corredo un’iconografia tutt’altro che attraente. Quel profilo con un naso fuori misura, uno sguardo arcigno, la lezione tramandata di un carattere autoritario, sprezzante, molto consapevole della propria cultura: tutto ha contribuito a farne un personaggio ignoto o poco noto alla gente.
E invece Dante Alighieri, come ce lo racconta Boccaccio, è tutt’altra cosa.
Boccaccio e la Vita nova (l’opera prima di Dante, con la quale creò insieme a Cavalcanti e Guinicelli il dolce stil novo) ci svelano la sua biografia amorosa, il sentimento per quella Beatrice Portinari conosciuta a 9 anni e che a 24 sarebbe morta, sempre inseguita e mai raggiunta, rimasta quindi una storia d’amore ideale. Se noi partiamo con un approccio a questo ragazzino e ne vediamo tutte le fragilità, tutte le aspirazioni, tutti i sogni, avremo un approccio completamente diverso da quello scolastico. In questo senso la scuola non svolge il suo ruolo, perché non riesce a rendere seducente quello che insegna.

Nella tua lunga carriera hai sempre parlato di storia. Ma è stata, nella grande maggioranza dei casi, storia tua, privata, personale. Solo i precisi riferimenti di Magnificat, il contesto de I cavalieri che fecero l’impresa e quel Mozart sognato in Noi tre hanno derogato. Qui parliamo di Vita di… Ci sarà più storia ufficiale?
Magnificat è il mio film più premiato ed è solo storia. I cavalieri che fecero l’impresa è un episodio immaginato su uno sfondo rigorosamente storico.
Vita di Dante, comunque, sarà un film, non una cronaca. Avrà un tasso di immaginazione che ha a che fare con le congetture.
Quel che di Dante scrive Boccaccio è stato più volte messo in discussione, non accettato pedissequamente dai dantisti. Ma Boccaccio non è il primo biografo di Dante: è l’unico, per di più vissuto nei suoi stessi tempi. Hanno avuto sette anni di contemporaneità. Poi, quando Boccaccio è andato a Ravenna per parlare con la figlia di Dante, fattasi monaca, io ho immaginato (meglio, presunto) che abbia incontrato anche qualche sodale del cenacolo dantesco e abbia potuto ricostruire qualcosa di più della sua vita dando alle stampe “Il trattatello in laude di Dante Alighieri”. Il mio film è storico nel senso che ho undici consulenti tra i quali Emilio Pasquini, Marco Santagata, Franco Cardini: il meglio che si possa avere oggi in Italia. Però, è pur sempre un film, non un saggio sulla vita di Dante. È un mio Dante che vorrei lo rendesse seducente.

Il mio tema è far piacere Dante.

Saprai così che chi ha scritto quei versi è arrivato a quella forma così alta di poesia attraverso il dolore.

Evidentemente la tua maggior fonte d’ispirazione è stata Boccaccio. Ma immaginiamo che tu abbia studiato anche altro.
Giosuè Carducci si rovinò per tutti i libri che comprò. Facendo le debite proporzioni, ho qui un archivio (che non si sa neanche che fine farà) di pubblicazioni su Dante che è enorme, ma che è pur sempre una parte minima di tutto ciò che su di lui è stato scritto nel mondo. Non citerò questi volumi, ma ti assicuro che ho letto veramente tanto.

Hai già pronta una sceneggiatura in due lingue, italiano e inglese. Si presume che Vita di Dante sia concepito per andare in giro per il mondo.
Il film sarà probabilmente girato in italiano, ma vogliamo fare un prodotto vendibile in più Paesi possibile. La fama di Dante in tutto il mondo lo consente. Non ti so dire se la Rai abbia pensato alla necessità di un prodotto forte, importante per rilanciarsi sul piano internazionale. Di sicuro ha giocato a nostro favore l’imprescindibilità di una riflessione della dirigenza sul ruolo della Rai di servizio pubblico.

L’ultimo film storico girato a Firenze è stato “I Medici”, fiction americana con la storia riscritta a modo loro, tra Dallas e Beautiful. La domanda ci sembra scontata, ma nel tuo film si respirerà un’aria diversa?
Io quando ho pensato a Dante Alighieri non ho mai pensato a una fiction, che mi pare un format riduttivo. I miei lavori televisivi, che siano piaciuti o meno, sono penalizzati da una fruizione che non prevede riproposte, retrospettive o repliche. Sappiamo quanti spettatori hanno avuto, poi tutto finisce lì.
Per il mio Dante pretendo invece una dignità e una qualità di qualcosa che rimane.
Il nostro approccio è di grande rispetto: ecco perché abbiamo delegato Boccaccio a raccontarcelo invece di prendere Dante di petto, che sarebbe una cosa da far tremare i polsi.

Hai detto che Vita di Dante sarà il film della tua vita. Mi ricordo quando ti rammaricavi di non averlo ancora fatto e contemporaneamente lo temevi perché farlo e rendersene conto avrebbe potuto mettere un freno alla tua libertà creativa. E adesso che dichiari?
Io sono stato abbastanza fortunato, nel senso che ho realizzato quasi tutti i film che volevo fare. Vita di Dante è quello che ancora non sono riuscito a fare ed è anche quello che ho corteggiato di più. Diciotto anni, se ti pare poco. Certo che se realizzi il film della tua vita, lo riconosci, te ne compiaci, lì vuol dire che sei sotto al traguardo. Ti danno la coppa ed è finita lì.
Poi, il film della vita è una frase un po’ a effetto.
Si dice, non si dice. Non è che tutto vada preso proprio alla lettera.

(Articolo pubblicato in origine su Toscana Oggi)
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30 maggio 2020
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