Il professore casertano:
«Così porto Dante ai detenuti»
Adriano Troianiello e i carcerati di massima sicurezza:
si sentono liberi attraverso la cultura

Adriano Troianiello Adriano Troianiello
CASERTA — Dante e la sua Commedia fra le sbarre del carcere di massima sicurezza di Carinola. Lo ha introdotto, da alcuni mesi, Adriano Troianiello. Carinolese, settantasei anni e una vita dedicata alla scuola, prima come docente di Italiano e storia, poi da preside. Arrivato il tempo della pensione, il professore non ha, però, abbandonato la sua passione per l’insegnamento. Dopo una parentesi con un gruppo di giovani profughi afgani, oggi tiene, per i detenuti della casa circondariale del suo paese, un corso di «Dantistica», come ha denominato la disciplina che insegna. «Ho dato un titolo, diciamo così, estensivo, per indicare – spiega Troianiello – che, durante i nostri incontri, approfondiremo con la Divina commedia, anche la personalità, la grandezza artistica di Dante, l’universalità e l’attualità del suo messaggio». Un’esperienza umana e professionale nuova per il professore Troianiello. «I miei corsisti sono attenti ed estremamente interessati, con una sete di sapere e di conoscenza difficile da trovare nelle aule delle scuole comuni. Forse perché percepiscono lo studio come un ponte verso la libertà, quella che hanno perso e che qualcuno non riacquisterà mai più». Fra i 400 detenuti della casa circondariale di Carinola, ve ne sono, infatti, alcuni condannati a scontare il carcere a vita, con la formula del «fine pena mai». «Lo studio, in generale, e questo di Dante, in particolare, costituisce per i miei allievi un modo per riempire spazi vuoti, per cercare risposte a domande che, forse, prima non si erano mai posti, per far fronte all’angoscia esistenziale che spesso assale chi ha come unica prospettiva quella di passare il resto dei suoi giorni fra le mura del carcere» racconta Troianiello.

IL RISCATTO – La cultura che diventa strumento di redenzione e di riscatto. «È questa la motivazione che spinge i corsisti ad applicarsi oltre ogni aspettativa, ad affrontare temi tanto cari al sommo poeta: la redenzione, la pena, la colpa, il peccato, l’errore e il perdono, e a confrontarsi con la grande poesia». E non sono pochi quelli che praticano la scrittura. «Cercano gli strumenti per esprimersi, per comunicare un altro sé, quella parte nascosta e forse più autentica che così riesce a manifestarsi». Le vicende personali dei detenuti non sono note agli educatori. «Non conosciamo le storie dei nostri corsisti, non facciamo domande, ma le sofferenze, le amarezze, le preoccupazioni, spesso la disperazione vengono fuori dalle pagine dei loro scritti, fra le righe di certe riflessioni».

L’ATTESA – L’incontro settimanale con il professore Troianiello è atteso con ansia dai partecipanti. «Mi chiedono di incrementare il numero di ore, ma l’età non me lo consente» dice. «Mio malgrado, perché l’esperienza che sto facendo è molto coinvolgente. Quando attraverso quella porta sento chiudere dietro le mie spalle le serrature, le cancellate ed entro nello spazio riservatoci, non mi sembra di essere in un carcere. Gli agenti di custodia e il personale tutto, guidati con grande sensibilità e intelligenza dalla direttrice Carmen Campi, hanno la capacità di farti sentire a tuo agio. Mentre – aggiunge il professore Troianiello – i miei specialissimi studenti mi ricordano ogni volta che, anche dietro le sbarre, l’uomo può rimanere libero nel pensiero, nella mente, nell’immaginazione e che la cultura può essere il grimaldello verso questa libertà».

Lidia Luberto

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