A Trinità d’Agultu dal 31 luglio in mostra cento incisioni del maestro catalano
La Divina Commedia secondo Salvador Dalì

Si inaugura il 31 luglio a Trinità d’Agultu (Piazza 4 Novembre, h. 21.00) la mostra Salvador Dalì. La Divina Commedia, a cura di Antonella Camarda. Sedicesimo appuntamento del ciclo “Orfeo cinto di mirto”, che ogni anno porta nella cittadina gallurese importanti rassegne del grandi nomi dell’avanguardia storica, la mostra, ideata da Giulia Erriu, è organizzata dall’associazione Agostino Muretti con il patrocinio del Comune di Trinità, Collezioni d’Arte Camù e Acqua Smeraldina.

Divisa nelle tre sedi che si affacciano sulla piazza IV Novembre, Chiesa della SS. Trinità, Sede parrocchiale e Sala Giulia, la mostra presenta cento incisioni su legno del maestro catalano, appartenenti alla collezione Paolo Dal Bosco. Le tre cantiche del poema dantesco vi sono illustrate in modo sorprendente, scandaloso e toccante: due immaginari straordinari, quello di Dante e quello dell’artista, si incontrano, si incontrano ed entrano in competizione, per un risultato che è tra i più grandi capolavori grafici del dopoguerra.

Estasi mistica e amplessi carnali, violenza e dolcezza, in un’esplosione di colori e forme in cui angeli e demoni, dannati e beati si confondono e si scambiano i ruoli in un’esaltazione che è al tempo stesso sublimazione delle pulsioni terrene.

Nate nei primi anni Cinquanta, le illustrazioni riflettono le idee espresse da Dalì nel Manifesto Mistico del 1951, unendo l’applicazione del suo metodo paranoico-critico al concetto di estasi e alla fascinazione per la fisica nucleare.

Nel momento in cui si appresta ad illustrare la Commedia, Dalí ne ha già digerito e cannibalizzato il contenuto, piegandolo alle sue esigenze di continua rappresentazione autobiografica. Si riconosce in Dante in virtù della sua fama universale (ai suoi occhi paragonabile alla propria) ma anche per il rapporto con la donna amata: Beatrice è per Dante ciò che Gala, sposa e musa amatissima, è per Dalí.

“I tre regni danteschi – spiega Antonella Camarda nel catalogo – sono il palcoscenico in cui l’artista mette in scena le ossessioni e i grandi racconti psicanalitici del Surrealismo, debitori delle teorie freudiane sull’inconscio individuale e collettivo, sul sogno come specchio dei desideri repressi dalla società e sul mito come archetipo dell’esperienza umana”.

“Dalì nella Commedia – prosegue Camarda – va oltre il Surrealismo, pur senza rinnegarlo: tiene conto degli sviluppi dell’arte del dopoguerra, assorbendone quanto di compatibile con la propria visione, fonde miriadi di suggestioni letterarie e pittoriche in una visione personale del mondo dantesco, al quale si accosta in modo originale e profondo, creando la più significativa e convincente illustrazione del poema del Novecento”.

Nel ciclo della Divina Commedia di Dalì nell’Inferno domina il complesso di Edipo, ovvero il desiderio dell’uomo per la propria madre, e il complementare omicidio del padre, l’ambigua ed ambivalente conflittualità padre-figlio incarnata nel poema dantesco dal conte Ugolino.

L’Inferno di Dalí è contraddittorio e onirico, debitore della pittura metafisica di De Chirico e legato alle riflessioni sulla quarta dimensione e la matematica non euclidea. Assolato e vuoto, rischiarato dal sole del Mediterraneo e popolato dai demoni del Mezzogiorno – pericoloso momento di contatto con l’aldilà, in cui le ombre si annullano e i morti arrivano sulla terra – si oppone alle raffigurazioni cupe ed ai paesaggi claustrofobici delle illustrazioni romantiche di Gustave Doré.

Il Purgatorio è caratterizzato dalle ombre, e dal ricorrere di un mito psicanalitico specificamente dell’artista, quello dell’Angelus di Millet, quadro dell’Ottocento francese che innesca il delirio paranoico-critico di Dalí. L’artista scorge nella pia coppia di contadini intenta a pregare, raffigurata da Millet, enigmi e significati relativi al sesso, la morte e le relazioni uomo/donna.

È il regno più vicino alla terra, caratterizzato da uno spazio più naturale, e da una carnalità e sessualità più apertamente esibite, nel quale la figura femminile è una minacciosa mantide religiosa, icona surrealista della pericolosità castratrice dell’eterno femminino.

Nel Paradiso domina una spazialità espansa che trova i suoi modelli nelle cupole tardo manieriste e barocche, o è costruita mediante la sovrapposizione di piani illusori, privati di ogni profondità. L’unità che da origine alla forma è il corno di rinoceronte, nel quale l’artista riconosce la struttura primaria del reale, simbolo mistico e fallico al tempo stesso. Alto e basso, spirituale e carnale sono per l’artista sempre in stretto e morboso contatto e l’abbandono e superamento delle pulsioni terrene è al tempo stesso negato ed affermato.

Emblema di questa dialettica degli opposti è Beatrice, che appare già nella seconda tavola dell’Inferno, ariosa e vibrante, identificata con Gala e, per via della sua posa, con la Leda di Leonardo. Leda/Gala/Beatrice è al tempo stesso moglie e madre, guida e perdizione, mantide e Gradiva, colei che avanza, segnale di un desiderio represso che sovrappone al testo medievale i miti psicanalitici propri dell’artista e del suo tempo.

(24 luglio 2010)

sopra una delle incisioni di Salvador Dalì in mostra a Trinità d’Agultu

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