LE TERZINE PERDUTE DI DANTE: intervista a Bianca Garavelli

LE TERZINE PERDUTE DI DANTE: intervista a Bianca Garavelli

di Massimo Maugeri

Bianca Garavelli, scrittrice e critica letteraria (scrive sulle pagine del quotidiano Avvenire), è un’appassionata studiosa dell’opera di Dante: ha curato diverse edizioni della Commedia, saggi e manuali di interpretazione. Di recente ha pubblicato un romanzo che si rifà, per l’appunto, alla figura del grande poeta. Il titolo è molto evocativo: “Le terzine perdute di Dante” (Dalai editore)

– Bianca, partiamo dall’inizio, cioè dalla genesi del libro. Come nasce “Le terzine perdute di Dante”? Da quale idea, o esigenza o fonte di ispirazione?
La prima fonte di ispirazione è il canto XXVIII del Paradiso: qui Dante ci racconta la sua prima visione di Dio, che con un’incredibile intuizione sembra anticipare alcune teorie sull’universo della cosmologia contemporanea. È un canto poco letto a scuola, poco conosciuto in generale, eppure merita una rilettura perché è di grande suggestione visiva e cosmica. Qui il pellegrino, dopo aver attraversato tutti i cieli visibili dalla Terra insieme a Beatrice, arrivato nel Primo Mobile e quindi sull’orlo dell’Empireo, si affaccia sul vero Paradiso, invisibile dal mondo terreno, e vede per la prima volta Dio. Che appare in forma di luminosissimo, minuscolo punto, da cui dipende tutto il creato, e che ne è il vero centro, ma al tempo stesso lo contiene. È un un’immagine davvero affascinante: questo “punto” che dà origine all’universo mi ha fatto pensare al Big Bang e ad altre teorie sulla formazione del cosmo. Come se Dante avesse intuito qualcosa che la scienza contemporanea sta ancora studiando … E poi, qui c’è un particolare degno di un grande romanziere: la prima visione del punto divino passa attraverso gli occhi di Beatrice, che gli fanno da specchio e lo introducono così in un “altro universo” che sembra contenere tutto il sistema planetario conosciuto. Ancora una volta, fino all’assoluto, è la sua donna che gli sta accanto, e lo introduce alla più sconvolgente e positiva esperienza della sua vita. Ce n’è abbastanza per stuzzicare l’immaginazione di una narratrice …

– Da grande studiosa di Dante e dell’opera dantesca… che tipo di esperienza è stata, per te, far “rivivere” Dante come un personaggio di un tuo romanzo?
Innanzitutto, una grandissima emozione. Ho amato questo personaggio forse più di qualunque altro, e ho temuto fino alla fine di mancargli di rispetto. Forse è soprattutto per questo motivo che ho impiegato sei anni a finire il romanzo. Ho cercato di dare vita ai suoi sentimenti, alle sue emozioni di esule, sempre attraverso la sua scrittura, in primo luogo, e poi le biografie, alcune delle quali recentissime. Mentre scrivevo, ho finto di dimenticare tutto quello che conoscevo su Dante poeta e il suo mondo letterario, anche se, naturalmente, è proprio grazie a questa conoscenza che ho potuto scrivere il romanzo.

Terzine perdute di Dante- Hai svolto ricerche ulteriori propedeutiche alla scrittura di questo romanzo… ?
Devo dire che mi sono impegnata in letture scientifiche, non dantesche… Anche perché nell’ultima parte del romanzo si parla di un tema di strettissima attualità: la scoperta del Bosone di Higgs, forse meglio noto come “la particella di Dio”, di cui nella prima stesura si parlava ancora come di una parte di una teoria scientifica, ma non verificata con prove di laboratorio. Così dopo la scoperta ho dovuto riscrivere i capitoli in cui ne parlavo, quasi in tempo reale… Poi per quanto riguarda le teorie sugli inquietanti pericoli per il pianeta insiti in alcuni esperimenti scientifici, mi ha aiutata l’astrofisico Marco Bersanelli, con cui ho anche tenuto una doppia conferenza sulla cosmologia di Dante, al Planetario di Milano e all’Auditorium San Dionigi di Vigevano.

– Cosa ci faceva Dante nella Parigi del 1309?
Probabilmente si dedicava ad appagare la sua sete di sapere. Dico “probabilmente” perché non c’è alcuna prova che Dante abbia realmente trascorso un periodo della sua vita a Parigi, anche se il cronista Giovanni Villani e lo stesso Giovanni Boccaccio, da biografo di Dante, parlano di un suo soggiorno nella capitale francese.
Ma ho sempre fatto riferimento soprattutto a un indizio: è nel canto X del Paradiso, dove si trova, fra i sapienti del cielo del Sole, un filosofo condannato come eretico dalla Chiesa, Sigieri di Brabante. Da questi versi mi sembra di poter percepire una familiarità, una possibile conoscenza diretta dei luoghi in cui svolgevano gli studi di quella che era l’antenata dell’attuale Università della Sorbona, e dove regnava un tale fermento di idee che poteva distogliere il poeta esule dal dolore per il distacco forzato dall’amata Firenze. Persino uno degli autori che Dante aveva letto con maggiore attenzione, Tommaso d’Aquino, aveva risentito di quel clima culturale a dir poco vivace, tanto che aveva rischiato di subire a sua volta una condanna per eresia.

Allegati