LETTERA APERTA SU “DANTE e BEATRICE”

Oggi, in Firenze, lì giovedì 2 Febbraio 2012, festa della Purificazione della beata
Vergine Maria e dell’apparizione, per la prima volta, di Beatrice a Dante.

In questo giorno la liturgia recita: “Virgo adducens minibus filium ante Luciferum genitum”. Cioè la liturgia di questo giorno 2 Febbraio puntualizza che Cristo è nato ancor prima che sorgesse all’orizzonte orientale Venere mattutina, o Citerea, o Lucifero, e per questo indica che Cristo stesso è nato con Venere mattutina, o Lucifero, sull’Ascendente e quindi a far da corona alla Sua testa in quanto l’Ascendente rappresenta, astrologicamente, la testa. Tale fenomeno, o aspetto di Venere, è analogo a quello della Venere della Commedia la quale nobiliterà e incoronerà tutto il viaggio dantesco: Pur, I, 19-21; Pur., XXVII, 94-96. Degno di nota che Claudio Tolomeo rammenti, che nelle regioni del terzo quadrante dell’ecumene orientate a sud-ovest e che parte, a spicchio, dal Golfo di Alessandretta e comprende la Bitinia, Lidia, Frigia, Panfilia, Cilicia e Cappadocia, e perciò che abbraccia tutto il litorale dell’Asia Minore, con Troia, Pergamo, Sardi, Efeso, Mileto, Alicarnasso e Tarso, “Venere viene invocata come Madre degli Dei” (Tetrabiblos, II, III, 37-39). Sarà allora per caso che Dante, all’apice del Purgatorio, nel mentre sta continuando il percorso della sua deificazione, dopo aver ricordato la presenza in cielo di Venere mattutina, di Lucifero, di Citerea, la madre di Enea, un semidio!, (VIRGILIO, Eneide, I, 254 – 260; I, 314 – 317; II, 801 – 804), ricorda anche di essere stato incoronato da Virgilio re e gran sacerdote: “… io (VIRGILIO) te (DANTE) sovra te corono e mitrio” (Pur., XXVII, 94 – 142)? E si tratta di un primo sintomatico rapporto astronomico-astrologico-liturgico, pagano-classico e cristiano, fra il nostro 2 febbraio (giorno, da me scoperto, dell’apparizione di Beatrice) e la Commedia e la Vita Nuova. Si legge inoltre nella liturgia di questo giorno del vecchio sacerdote Simeone: “Senex puerum portabat: puer autem senem regebat. … Nunc dimittis servum tuum Domine, secundum verbum tuum in pace, quia viderunt oculi mei salutare tuum “. E saremmo di fronte ad un sentimento molto intimo, presumibilmente analogo a quello provato in questo stesso giorno da Dante all’apparirgli, per la prima volta il 2 febbraio 1274, di Beatrice. A Simeone fu profetizzato, e la liturgia di questo giorno lo ricorda: “Non visurum se mortem, nisi videret Christum Domini”. Lo stesso potremmo quasi dire di Dante alla vista di Beatrice. Anche Dante, dopo aver lasciato capire, in più occasioni, che la scienza dei profeti è quella del nono cielo Cristallino, acqueo (freddo e umido – Par., XXVII, 67 – 69) e di Maria (cfr. “Regina Prophetarum, ora pro nobis” – Litanie Lauretane, v.40), cioè che la scienza del Primo cielo Mobile è la pagana Filosofia di Pitagora (Convivio, II, XV, 12) e, a maggior ragione, la cristiana Morale Filosofia somigliante ad una gentile donna giovane e bella molto ( Vita Nuova, XXXV, 1-2; Convivio, II, II, 1; II, XV, 12), cercò personalmente anche di praticarla e non ci nasconde nemmeno qualche sua profezia: Par., XXVII, 142 – 148; Pur., XIV, 55-72; Inf. X, 79 – 81. Ed ancora troviamo nella festa del 2 febbraio un’altra analogia con la vita di Dante: “Ut has Candelas ad usus hominum, et sanitatem corporum et animarum”. E Dante, in conseguenza del suo viaggio, possiamo dire abbia finalmente potuto accendere la sua candela, cioè il suo cuore. Infatti così continua a recitare la liturgia: “ita corda nostra invisibili igne”, mentre nella Vita Nuova indicante il 2 febbraio, sia pure dell’anno 1283 (Vita Nuova, III, 5), analogamente si legge, “E nell’una delle mani mi parea che questi tenesse una cosa la quale ardesse tutta; e pareami che mi dicesse queste parole “”Vide cor tuum!” (Vita Nuova, III, 5 [ V.N., 1, 16]). A questo punto potremmo concludere di essere di fronte al problema, del tutto inatteso per l’esegesi tradizionale, inerente una forte dipendenza, o simpatia, fra la Liturgia cristiana e la poesia di Dante. Domanda. Che quella Divina Scienza, la più alta ed ultima, che il Poeta indica nella “Teologia”, mette nel decimo cielo Empireo e che dichiara essere “piena di tutta pace” (Convivio, II, XIV, 19) non sia affatto la Teologia razionalista, o di san Tommaso, e nemmeno le semplici parole del Vangelo, come molti esegeti hanno indicato, ma sia, come io ho sempre indicato, la nostra sacra Teologia liturgica? Anche il recente CONCILIO VATICANO II dichiarò la Liturgia cristiana essere la nostra più alta forma di Teologia (Costituzione conciliare SACROSANTUM CONCILIUM sulla sacra liturgia del 4 dicembre 1963 -nn. 8 – 16 – 33 – 83 -116). E si tratterebbe di un rapporto che, per me, è stato intenzionalmente voluto e creato dal Poeta in tante occasioni per aggiungere, alla bellezza dei suoi versi, tutta la sapienza che animava la cultura di più alto livello del suo medioevo. Ed ancora: “Per intercessionem beatae Mariae semper virginis cujus hodie festa devote celebrantur… ”. Questa citazione permette di ricordare che il 2 Febbraio è anche una festa mariana. Ma non erano forse Dante e Beatrice (Vita Nuova XXVIII, 1) particolarmente devoti della nostra “regina benedetta virgo Maria”, ovviamente insieme a san Bernardo di Chiaravalle (Par., XXXIII, 1 – 39)? Maria, ricorda il teologo Charles Journet, “è la nostra suprema corredentrice, così come Gesù è il nostro unico Redentore” (CHARLES JOURNET, Catechesi sulla Santa Vergine, ed. L.E.F., Firenze, 1953, p.35), e questa è anche la ripetuta convinzione di Dante. Infine la liturgia di questo giorno risolutivamente e sorprendetemente mette in evidenza: “ … quos redemisti pretioso sanguine Filii tui”. Cristo figlio di Dio padre e di Maria Vergine, che un venerdì, il Venerdì Santo, versò il suo prezioso sangue per la redenzione del genere umano, viene ricordato proprio in questo giorno 2 febbraio, mentre sarà sempre per la festività del Venerdì Santo che Dante chiuderà la Commedia, almeno seguendo i riscontri e le scoperte di chi scrive, di Giovangualberto Ceri. A lui stesso risulta infatti, e del tutto originariamente, che il ‘viaggio’ finì il Venerdì Santo 31 marzo 1301, alle 12h. – 15h., cioè nel momento del versamento del prezioso sangue di Cristo per noi come recita la liturgia del 2 febbraio, dopo essere stato iniziato da Dante, liturgicamente, per la festa dell’ Annunciazione a Maria ed Incarnazione di Cristo del sabato 25 marzo 1301 (cfr. GIOVANGUALBERTO CERI, Dante e l’astrologia, con presentazione di Francesco Adorno, Firenze, Loggia de’ Lanzi, 1995, p.83). Negli esegeti di Dante non si trova tuttavia mai indicata questa qualificantissima e decisiva festa mariana della Candelora del Venerdì 2 febbraio 1274 che, ai tempi di Dante, era anche festa solenne e quindi di precetto. Cosa concludere? Che il mio metodo di studiare Dante è stato fertile ed anche assolutamente innovativo, rivoluzionario, poiché è capace di scendere ancor più in profondità nella vita vissuta dal nostro più grande Poeta, Dante, di come sia avvenuto fino ad oggi. Per tale motivo sarà meglio che io subito mi dilunghi su questo giorno odierno e sui capisaldi di questo mio metodo per poi riallacciarmi a qualche altro qualificante problema dantesco e medievale a cui dimostra di essere particolarmente interessato il caro Professor Alberto Casadei a cui dedico, per il suo particolare interesse ai miei lavori, questa lettera.

– Al Gentile Professor Alberto Casadei, Ordinario di Italianistica
all’Università degli Studi di Pisa.

– Agli innamorati di Dante e ai docenti di Critica Dantesca, Italianistica,
e Letteratura Italiana.

Caro Casadei,

rispondo solo adesso, in questo solenne giorno, alla sua gradita e-mail del 21.01.2012 (12h.09’). I controversi argomenti sull’Opera di Dante Alighieri da lei sollevati , e che ho ripreso in mano sospendendo temporaneamente la composizione del mio volume dal titolo IPAZIA e DANTE al fine di fare con lei bella figura, non interessano solo me e lei poiché, ragionevolmente, potrebbero affascinare anche altri che si occupano di Dante: per cui ho pensato bene di risponderle con una lettera aperta. I docenti universitari solitamente non sono disposti, o aperti, a mettere le loro cose e intenzioni di studio in piazza. Non mi resta dunque che augurarmi che lei faccia eccezione e, semmai, di porgerle le mie scuse.
Oggi 2 febbraio si celebrava nel mondo classico, liturgicamente, la festa pagana delle Baccanti. I cristiani, grossomodo, gliela copiarono. Era una delle espressioni più forti e significative della devozione che il classicismo riservava alle entità soprannaturali e, l’indicazione del giorno festivo, il fenomeno cronologico, si fondava sulla distanza di quaranta giorni dal Natalis Solis invicti cadente il 25 dicembre. Di conseguenza si trattava dell’attribuzione a questo stesso giorno 2 febbraio anche di un senso pitagorico-mistagogico, oltre che simbolico-liturgico. I paleo cristiani e quelli medievali, con Dante, analogamente celebravano in questo stesso giorno i movitori delle sfere celesti, o Angeli che, usando altri termini, erano stati definiti anche Intelligenze celesti, o Idee platoniche, o Dei e Dee, come testimonia anche Dante (Convivio, II, II, 7-8; II, IV, 1-7; Convivio, II, Canzone Prima “ Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete,” ). I cristiani, analogamente ai pagani, indicavano dunque la cronologia del 2 febbraio sempre per un motivo pitagorico-kabalistico. Essi calcolavano questa distanza di quaranta giorni dalla Natività di Cristo e perciò sempre dal 25 dicembre come i pagani. In questo giorno 2 febbraio che, cristianamente, pitagoricamente e astrologicamente, dovrà essere messo in rapporto di trigono (120°) d’aria (Acquario-Bilancia) anche con la festa dei ss. Angeli Custodi cadente il 2 ottobre, viene ogni anno solennemente rinnovata la devozione verso gli angeli ridestata, nel medioevo, da san Bernardo di Chiaravalle, il maestro cristiano di Dante di più alto e qualificato rango spirituale. Il 2 febbraio e il 2 ottobre sono influenzati, per segno, da Saturno che si trova, rispettivamente, in domicilio (Acquario) ed in esaltazione (Bilancia) iuxta sententiam Ptholemaei (Tetrabiblos, I, XVIII, 4: I, XX, 2). Non meraviglierà allora se il Poeta, ricorrendo ad idonei artifici rigorosamente scientifici e all’appello ad una ragione “faticosa e forte” (Convivio, II, Canzone prima), ha messo il lettore attento in condizione di poter capire che, il Poeta stesso, ha deciso di vedere per la prima volta il suo personaggio Beatrice, da lui inventato sulla falsariga della reale esperienza avuta con Bice Portinari, cioè con la sua amatissima, bellissima e gloriosa, in tale stesso giorno: ed era appunto, allora, il 2 febbraio 1274, ovviamente in base alle mie ricerche e scoperte. Questo giorno da me scoperto cade di Venerdì. Sarà per caso, o è un reperto della validità del mio indirizzo di ricerca? Cadono infatti sempre di venerdì anche tutti gli altri giorni riguardanti Beatrice personaggio da me scoperti. In tutto sono quattro date cadenti tutte di venerdì e con un significato liturgico solenne e perfettamente aderente al momento. Si tratta: 1) del ricordato Venerdì 2 febbraio 1274; 2) del Venerdì 26 dicembre 1264, festa di santo Stefano protomartire che, in termine di minuti cronologici (alle 07h.42’ ora locale di Firenze [Vita Nuova, XXIX, 2 ]), corrisponde anche all’ora e all’istante di concepimento di Beatrice (cfr., come indica di fare Dante, CLAUDIO TOLOMEO, Tetrabiblos, III, II, 1- 4, il quale sentenzia, iuxta sententiam Ptholemaei, come l’istante di concepimento, in relazione alle peculiarità spirituali del nascituro, sia ancor più qualificante del momento della nascita); 3) del Venerdì 2 ottobre 1265, festa, allora ad libitum, dei ss. Angeli custodi e giorno di nascita di Beatrice personaggio (Vita Nuova, II, 2); 4) del Venerdì (liturgico) 9 giugno 1290, festa dei ss. Martiri Primo e Feliciano e giorno di morte di Beatrice (Vita Nuova, XXVIII, 1). Per i Dantisti pare che questi quattro venerdì io me li sia inventati e, perciò, da dovere ignorare. Mi auguro che abbiano ragione poiché, diversamente, il danno da loro arrecato alla cultura e alla nostra civiltà occidentale con tale indifferente comportamento, potrebbe essere gravissimo, se non irreparabile, poiché abbiamo l’Estremo Oriente culturale che, a ragione, preme da tempo alle nostre porte al fine di poter riempire il senso che abbiamo bisogno di dare alla nostra vita. Se io, col mio rovesciamento di metodo, avessi ragione ci potremmo anche attendere, per emulazione, il risorgere nei nostri studenti di un autentico entusiasmo per la scoperta della verità: ovviamente se la scoperta potesse venire in qualche modo premiata.

Analizzando l’attuale caso della prima apparizione di Beatrice a Dante, trattandosi, liturgicamente, del Venerdì 2 Febbraio 1274, potrà essere intanto anche controllato e ribadito che sugli altari, allora come oggi, si leggeva e si legge: “Haec dicit Dominus Deus: Ecce ego mitto Angelum meum (cioè io, Dio, adesso, in questo giorno, mando il mio Angelo), et praeparabit viam ante faciem meam”. Sarà allora per caso che il Poeta incontra Beatrice il 2 febbraio e quindi nel giorno in cui la Divina Provvidenza assegna a ciascuno di noi l’angelo custode? Non è forse congruo che Beatrice possa assomigliare, come tutti già affermano, ad un angelo? Essa non svolge forse verso Dante, e dichiaratamente, la funzione che tradizionalmente svolgono gli Angeli Custodi (Pur., XXX, 55 – 145)? Nel mio caso però l’indicazione di Beatrice quale incarnazione dell’Angelo custode di Dante di sesso femminile (Nel medioevo la questione del sesso degli angeli non fu risolta.) viene da me indicata sulla base di precisi calcoli matematici e riscontri astrologico-liturgici, e non a senso. Già si legge che per sant’Agostino e san Tommaso gli angeli posso, a volte, anche incarnarsi (Enrico Cornelio Agrippa, De Occulta Philosophia, Lione, per Beringos Fratres, 1535, lib. III, cap. XIX). Per i Dantisti e le varie associazioni che si occupo di Dante, sembrerebbe che io questo giorno del Venerdì 2 Febbraio 1274 me lo sia sognato in quanto mai sono stato invitato a riferire, o a chiarire. E io per loro me lo sarei inventato, vanamente elucubrando, a partire da quando l’ A.N.S.A. (FIR – YFI10015) dette la notizia in data 23 settembre 1996 che poi venne ripresa, il giorno dopo, da “Il Corriere della sera”, “La Nazione”, “Il Sole 24 ore”, “Il Messaggero”, “La Stampa”, “L’Avvenire”, eccetera: tutti giornali in attesa di notizie sensazionali e a cui meno importerebbe di dare una notizia vera. Non mi dica adesso, Caro Casadei, che in giro non se ne erano accorti che qualcuno già aveva indicato il 2 febbraio 1274 quale giorno della prima e solenne apparizione di Beatrice a Dante, anche se questa mia scoperta, lo ripeto, è su base astronomico-astrologico-liturgica e direi anche pitagorico-kabalistica o, ugualmente, inerente la nona scienza, la Morale Filosofia: scienze con cui gli Italianisti hanno chiaramente assai poca dimestichezza. Ma in tal caso la colpa non sarebbe mia, che non gliel’ho fatto sapere, penso…!, e per cui loro non avrebbero poi potuto, a ragione, controllare. Nessun esegeta ha infatti mai voluto rifare, con un serio impegno didattico-divulgativo, il percorso matematico-liturgico che io feci nel 1996. Né il mondo accademico si sentì mai obbligato ad auspicare, almeno in senso generale, o di principio, che qualcuno più esperto procedesse ad un rigoroso controllo sulla congruità di questo giorno Venerdì 2 febbraio 1274, magari insieme anche agli altri tre giorni già indicati e sempre cadenti di venerdì. E perché l’impegno ad un controllo non fu auspicato nemmeno dalla “SOCIETÀ DANTESCA ITALIANA” con sede a Firenze, o dalla “DEUTSCHE DANTE-GESELLSCHAFT”, o dalla “ THE DANTE SOCIETY OF AMERICA”, o dalla “CASA DI DANTE IN ROMA”, o dalla “BIBLIOTECA CLASSENSE DI RAVENNA”, o dall’ “ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI” di Roma? Mi trovo dunque ad essere solo contro tutti? Cosa concludere? Forse si è sperato che le mie scoperte venissero dimenticate, o che io passassi da matto? Quindi, Caro Casadei, subito la ringrazio per aver tentato di voltare pagina e rappresentato, con le sue e-mail, quasi un’eccezione e per cui mi è venuta voglia di approfittarne. Le ricordate date del 2 ottobre 1265 e del 2 Febbraio 1274 hanno potuto da me essere scoperte ragionando sul giorno di nascita di Dante personaggio, martedì 2 giugno 1265, da lui stesso indicato nel Paradiso (XXII, 110 – 117), come lei ben sa per avermi letto. Recita Dante:

“… in quant’io vidi ‘l segno / che segue il Tauro e fui dentro da esso. / O gloriose stelle, o lume pregno / di gran virtù, dal quale io riconosco / tutto, qual che si sia, il mio ingegno, / con voi nasceva e s’ascondeva vosco / quelli ch’è padre d’ogne mortal vita, / quand’io senti’ di prima l’aere tosco; “ (Par., XXII, 110 – 117).

La scoperta del martedì 2 giugno 1265, messa da ‘LA NAZIONE” di Firenze in prima pagina e su quattro colonne la domenica di Pasqua del’ 11 aprile 1993, allorché UMBERTO CECCHI era Direttore e ALFREDO SCANZANI scrittore dell’articolo, fu poi ripresa dall’A.N.S.A. e da quasi tutti i maggiori quotidiani italiani, e a me, tutto sommato, sembrava, e sembra, relativamente semplice. Comunque i docenti di Italianistica non mi seguirono. Bisognava però assumere, cosa per loro assai complicata, che Dante sia spiritualmente più vicino alla cultura scientifica medievale, di Ruggero Bacone, di san Tommaso d’Aquino e di Pietro D’Abano, che non a quella di Francesco Petrarca, o a quella del Leopardi e del Romanticismo. Diversamente potrebbe venirci in mente, quindi a priori, che siccome Dante è un poeta, mai avrà potuto immaginare, o aver avuto bisogno, che le sue stelle, per essere poetiche, debbano corrispondere anche alla realtà, a quelle che realmente brillavano ai suoi tempi in cielo nell’arco longitudinale del segno che segue il Tauro, cioè dei Gemelli. Ed è stata questa la strada che hanno seguito gli esegeti. Se si assume invece che Dante possa essere uno scienziato medievale in grado di padroneggiare tutte le dieci scienze medievali da lui ricordate anche nel Convivio (II, XIII, 1- 30; II, XIV, 1-21), e perché no?, allora tutta la Commedia, ma anche la Vita Nuova e il Convivio, potrebbero essere state riempite con queste stesse sue scienze-conoscenze e di conseguenza queste sue stelle “gloriose e di gran virtù” della Commedia potrebbero essere anche reali, brillanti effettivamente in cielo, ai suoi tempi, nell’arco longitudinale del Segno dei Gemelli. Perché non ipotizzarlo seriamente? Anche Bruno Nardi aveva sostenuto che il senso “litterale” (Convivio, II, I, 2 – 8) nell’esegesi di Dante deve essere il primo ad essere esaminato, o venire preso in considerazione: pena la presa di abbagli, a la pesca di granchi. Nell’ipotesi da me sostenuta, se Dante scrive di “stelle” dovremmo controllare, prima di tutto, se si tratta effettivamente di stelle reali per controllare poi cosa succede. Io, dopo lunghi mesi di studio, prove e considerazioni, decisi che queste stelle erano reali e che corrispondevano a tre. Si tratta: a) della stella Polare (alfa Ursae Minoris) ai tempi di Dante a 18°.20’ di longitudine nel segno dei Gemelli e che per lui brilla sopra la gloriosa “cittade di Maria” posta al polo settentrionale, o polo nord– Convivio, III, V, 10 – 14); b) della stella, “virtuosior”, Betelgeuse (alfa Orionis – cfr. Pietro D’Abano: “In prima namque sunt 15 maiores et virtuosiores, que in astrolabiis sculpiuntur” Lucidator dubitabilium astrologiae”, differentia quinta, propter primum), allora a 18°.30’ nel segno dei Gemelli; c) della stella Menkalinam (beta Aurigae) allora a 19°.40’ di longitudine nel segno dei Gemelli. Se noi poniamo, come indica Dante di procedere, il Sole in stato di CONGIUNZIONE STRETTA, MONTAMTE E NOBILE (e come potrebbe essere diversamente!), con tale gruppo di stelle, risulta che al momento della nascita lo stesso Dante personaggio aveva il Sole alla longitudine di 18°.01’ in Gemelli, “ longitudine” che decreta, appunto e scientificamente, che il Poeta ha deciso di farsi nascere, e che risulti nato, ”il martedì 2 giugno 1265 (cfr. Profhacii Judaei Montispessulani Almanach perpetuum ad annum 1300 inchoatum – Codicis Laurentiani, PL XVIII sin, N. 1). Se Dante personaggio si fa nascere in questo giorno 2 giugno 1265, applicando questa data all’Incipit della Vita Nuova (II, 1-2) si arriva necessariamente a stabilire, sia il ricordato venerdì 2 ottobre 1265, giorno di nascita di Beatrice, che il nostro ricordato venerdì 2 febbraio 1274 giorno, appunto, della prima apparizione di Beatrice a Dante e che oggi avrebbe dovuto essere celebrato da molti con entusiasmo. Ma cosa rende questa scoperta del martedì 2 giugno 1265 inconfutabile e perciò assolutamente certa, semmai ce ne fosse bisogno dopo che essa, procedendo matematicamente, ha servito a risolvere magnificamente anche l’enigma posto dall’Incipit della Vita Nuova, come ho già ricordato? La data del martedì 2 giugno 1265 non può intanto che condurci alla lettura della relativa liturgia cristiana del giorno per la conoscenza, già acquisita, della maniera in cui procede Dante. In questo giorno si celebra la festa dei ss. martiri Marcellino, Pietro ed Erasmo che, essenzialmente, indica tutta la biografica di Dante, analogamente a come del resto già avevano indicato la biografia di Beatrice le ricordate quattro date e feste liturgiche del venerdì 26/12/1264, del venerdì 2/10/1265/, del venerdì 2/02/1274/, del venerdì 9/06/1290. Sarà tutto sempre per caso? Intanto se ciò che riguarda Beatrice cade sempre di venerdì, ciò che riguarda Dante cade invece sempre di Martedì. Ma non esiste forse già nella nostra cultura occidentale un rapporto fra Venere e Marte? Sembra affermare simbolicamente Dante che lui stesso è tanto vicino alle qualità di Marte quanto Beatrice a quelle di Venere. Sandro Botticelli fa anzi di questo rapporto il soggetto di un bellissimo quadro, e anche la sua famosa Nascita di Venere risulta essere scientificamente la stessa Venere della Commedia per stare uscendo, in entrambi i casi, dal tratto astrologico umido e da quello mitologico del mare. La liturgia del 2 febbraio e anche quella della notte della Natività del 25 dicembre, indicano sempre la presenza in cielo, durante la notte stessa della Natività, di Venere mattutina tutta umida (acqua-mare) e debolmente calda, iuxta sententiam Ptholemaei (Tetrabibos, I, IV, 6). Lascio ai Dantisti e alle Società Culturali che si occupano di Dante la responsabilità storica di continuare a far cadere nel silenzio il problema del giorno di nascita di Dante e di Beatrice personaggi da me scoperti da quel dì. Io, quale interessante sintomo della giustezza del ricordato mio indirizzo di ricerca, ricorderò adesso solo il controllo scientifico-liturgico del giorno di nascita di Dante personaggio, di quel Dante che Dante stesso faticosamente si inventa per imprimere la maggior forza poetica possibile alla sua poesia in armonia con la mentalità dell’XI – XII e XIII secolo in Europa.

Domande per il controllo della rispondenza della liturgia del 2 giugno alla vita di Dante. La parola (“os”) di Dante possiamo ritenere sia stata ispirata dal cielo? Per me, sì! Dante fu un uomo sapiente? Per me, sì! Fu egli tradito dai suoi concittadini fiorentini ed esiliato (cfr. Convivio, I, III, 4-5)? Sì! Fu egli odiato da molti e condannato a morte (igne comburatur sic quod moriatur – Michele Barbi, Vita di Dante, Sansoni, Firenze, 1961, p. 19)? Sì! Ebbe queste che seguono sono le parole recitate dalla liturgia di questo suo giorno di nascita di Dante martedì 2 giugno 1265 (cfr. anche Biblioteca Laurenziana di Firenze, Edili 107) .
“Ego (cioè io Divina Provvidenza) enim dabo vobis os et sapientiam, cui non poterunt resistere et contradicere omnes adversarii vestri. Trademini autem a parentibus, et fratribus, et cognatis, et amicis, et morte afficient ex vobis, et eritis odio omnibus propter nomen meum: et capillus de capite vestro non peribit. In patientia vestra (la pazienza che ebbe Dante nel sopportare l’esilio) possidebitis animas vestras (tale “possesso” della propria anima da parte di Dante per aver meditato e sapientemente sopportato durante il suo esilio quel “vento secco che ha vaporato la sua dolorosa povertate” e, al tempo stesso, scritta la Commedia. Astologicamente l’umore “secco” è “distruttivo” iuxta sentetriam Ptholemaei (Tetrabiblos, I, V, 1) perché, analogamente e prima di quello “freddo”, disgrega e stronca ogni cosa. Scrive più distesamente Dante: “Poi che fu piacere de li cittadini (parentibus, et fratribus, et cognatis, et amicis ) de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno – nel quale nato e nutrito fui in fino al colmo della vita mia (Il colmo dell’arco della vita è per Dante il trentacinquesimo anno, mentre la sentenza di bando gli fu data il 10 marzo 1302) e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto lo cuore di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo che m’è dato – per le parti quasi tutte a le quali questa lingua (il volgare italiano) si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga de la fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti, dal vento secco che vapora la dolorosa povertade” (Convivio, I, III, 4 – 5). Nella Commedia, sostanzialmente scritta durante il suo esilio, egli descrive infatti il suo itinerario di salvezza ontologicamente vissuto, obbligandoci a concludere che lui possedette infine, e veramente, la propria anima analogamente a come indicato dalla liturgia di questo giorno.

Caro Casadei,

in riferimento al punto n. 3 della Sua e-mail datata 11.01.2012, in cui lei mi fa presente che ci sarebbe un ostacolo di fondo fra il viaggio a partire dal 25 marzo 1301 e la data di nascita di Dante personaggio da me indicata nel 2 giugno 1265, poiché nel marzo-aprile del 1300 il Poeta, per lei, si trovava “nel 35° anno di età, cioè nel mezzo del cammino della sua vita (Inf., I, 1-3) , mentre nel 1301 non più”, orbene in base ai miei calcoli si arriva invece alla conclusione opposta. La sua opinione è comunemente condivisa, è vero, ma non so se per ingenuità. Infatti, 2 giugno 1265 + 35 anni = 2 giugno 1300. Possiamo dunque scientificamente affermare che Dante, prima del 2 giugno 1300, aveva ancora trentaquattro anni più tot sottomultipli dell’anno e quindi non aveva ancora doppiato il culmine della sua età e festeggiato l’evento. La metà della vita, il cui intero è costituito dalla somma dell’ Adolescenza, Gioventute e Senectute, corrisponde a 70 anni e perciò la metà è trentacinque anni. In questo calcolo si esclude, ovviamente, l’età della Senio pari a undici anni per arrivare ad ottantuno come Platone in cui però, da 70 a 81 uno, per Dante, un uomo è quasi già morto e per cui dovrà pensare solo a Dio. Facciamo adesso una controprova. Se lei avesse domandato a Dante nel marzo-aprile 1300, nell’arco in cui lei vorrebbe collocare il viaggio, quanti anni lui stesso avesse, le avrebbe risposto trentaquattro, come facciamo tutti comunemente. Se invece lei gli avesse fatto la stessa domanda nel marzo-aprile del 1301 il Poeta le avrebbe risposto, appunto, trentacinque, proprio come io sostengo. Dunque solo ponendo il viaggio dal 25 marzo 1301 al 31 marzo 1301 possiamo dire che il Poeta si trovasse nell’arco del suo XXXV anno di età.

In relazione al problema del periodo del ‘viaggio’ della Commedia, seguendo i reperti storici, e non affatto le determinazioni astronomiche e il senso astrologico degli astri durante tale stesso periodo, affermo che autori coevi a Dante, l’OTTIMO (Andrea Lancia – già notaio a Firenze nel 1315), e GIOVANNI BOCCACCIO (1313 – 1375), autorevolmente ricordano, e quindi fin dalla prima metà del trecento, che l’anno del viaggio fu il 1301 del nostro computo storico: ovviamente per poter essere il 1300 stile antico fiorentino. IACOPO DELLA LANA (1290 – 1365) indica invece direttamente essere il 1300, ovviamente stile antico fiorentino. Dunque stanno indicando tutti e tre lo stesso anno. Quando un dantista trova un problema, una incongruenza, non è corretto che pensi subito ad un errore, per distrazione, o incompetenza, o menefreghismo, dell’autore esaminato, e che magari tratti con sufficienza chi non si arrende come lui e cerca. Il giudizio negativo sulla distrazione di Dante, del Boccaccio, dell’Ottimo eccetera, peraltro assai comodo, dovrà essere invece emesso solo dopo avere esperite tutte le possibili ipotesi e non aver trovato nulla. Infatti, per me, che un notaio, l’Ottimo, si sbagli sul calcolo dell’anno appare inverosimile. E bisognerà indagare. Anche che si sbagli il Boccaccio (Giovanni Boccaccio, Esposizione sopra la Comedia di Dante, a cura di Giorgio Padoan, Inferno, Canto III, Milano, Mondadori, 1964, p.150) sembra ugualmente inverosimile, tanto pare appassionato nel suo commento ad alcuni canti della Commedia e, al tempo stesso, innamorato della vita di Dante e della sua Opera. Che il Lana indichi 1300 per far piacere al padre barnabita Giuseppe Boffito mi sembrerebbe un po’ troppo. Infine che la Quaestio de aqua et de terra sia, o non sia, un’opera autentica di Dante, per la questione calendariale non ha alcuna rilevanza. Ha invece rilevanza che sia coeva. Dunque ha molta importanza che qualcuno, agli inizi del 1300, abbia scritto la Quaestio de aqua et de terra chiudendola in quel modo, con Cristo non solo risorto di Domenica, ma anche nato di Domenica e, su questo, pare che nemmeno lei nutra dei dubbi. Anzi per me è forse meglio che la Quaestio non sia affatto un’opera di Dante, poiché vorrebbe dire che c’erano altri a ritenere Cristo nato di Domenica e perciò incarnatosi di Venerdì, e quindi incarnatosi il venerdì 25 marzo del 1° dopo Cristo del nostro computo storico, e perciò necessariamente nato, nove mesi dopo, la domenica 25 dicembre del 1° dopo Cristo. Con la Quaestio siamo perciò già a tre reperti indicanti il viaggio avvenuto nel 1301, non considerando la corretta interpretazione da dare al Lana. Il reperto della Quaestio giustifica l’esistenza di un calendario ab Incarnatione antico fiorentino che però si collocava accanto, e non dentro, a quello a Nativitate rimesso in vigore da Bonifacio VIII sulla scia di Dionigi il Piccolo e che dunque indicava Cristo nato il sabato 25 dicembre del 1° anno avanti Cristo del nostro computo storico. Il calendario a Nativitate di Bonifacio VIII si schiaccia perciò su quello redatto dal computista Dionigi il Piccolo e quindi su quello medievale giuliano autentico detto “stile comune” e che partiva dall’insediamento, il 1° gennaio, dei Consoli romani come aveva decretato Giulio Cesare. Se la Quaestio indica Cristo nato di Domenica, e perciò necessariamente nato la domenica 25 dicembre del 1° anno dopo Cristo del nostro computo storico, il giorno successivo, p.e., il lunedì 26 dicembre del nostro 1° d. C., Cristo stesso non aveva affatto un anno e un giorno di età come a noi risulterebbe, ma un solo giorno dalla nascita, cioè un sottomultiplo dell’anno corrispondente ad una sua trecentosessantacinquesima parte e che diventa l’intero annuale, l’uno, solo alla fine del 24 dicembre di quell’anno che, per noi è, storicamente, già il secondo anno dopo Cristo: il lunedì 25 dicembre del 2° d. C. Nel momento in cui noi storicamente scriviamo che Cristo ha due anni, per la Quaestio risulta invece averne uno solo più, ovviamente, un giorno dalla nascita. Dunque, in relazione al calcolo “ab Incarnatione” antico fiorentino, l’indicazione con l’uno si avrà solo alla fine del 24 marzo di quell’anno in cui però, per noi e storicamente, è il secondo dopo Cristo. Esiste precisamente la differenza di un anno intero. Cristo, per Dante, si incarna necessariamente il venerdì 25 marzo del nostro 1° dopo Cristo e ha solo un anno il sabato 25 marzo del nostro anno 2° d. C. Noi scriviamo 2° dopo Cristo mentre per la Quaestio dovremmo scrivere 1° dopo Cristo. Cosa concludere se non che i calendari fiorentini ab Incarnatione, a partire da Bonifacio VIII e almeno nei primi decenni dopo la sua morte, furono due.
OSSERVAZIONE DERIMENTE. Le controversie cronologiche sulla Commedia sorgono sempre, o quasi, per il rilevamento della differenza di un anno in relazione ai fatti di cronaca e al computo del tempo, ed è perciò ipotizzabile che non si tratti affatto di errori, o sviste, o vuoti di memoria, come sostengono spesso gli esegeti, quanto del ricorso ad un computo diverso rispetto a quello che sta adottando l’esegeta. GIOVANNI RIZZACASA D’ORSOGNA nel suo interessante volume “Dante e L’Almanacco di Profazio Giudeo” (Palermo, stab. Tip. VIRZI, 1909) intelligentemente si occupa di questi problemi fornendoci informazioni uniche ed utilissime, però non arriva, per me, a capo delle varie questioni per la sua completa ignoranza della settima scienza medievale albergata nel cielo di Saturno. RODOLFO BENINI è invece, per me, assolutamente da respingere (RODOLFO BENINI, “Dante tra gli splendori de’ suoi enigmi risolti”, Roma, 1919 – ried., ed dell’Ateneo, 1952) poiché dà imprudentemente per risolti problemi che non lo sono affatto e che quindi non riesce assolutamente nemmeno lui a prendere correttamente per in verso giusto. Io l’ho dimostrato nel seguente mio articolo: GIOVANGUALBERTO CERI, Su alcuni errori di Rodolfo Benini, nella rivista ‘Sotto il velame’ di Torino diretta da Renzo Guerci (n. 2 – Dicembre 2000, Il leone verde edizioni, Torino, pp. 31 – 57: rivista recensita anche da “La rassegna della letteratura Italiana” diretta da Enrico Ghidetti (ed. Le lettere, Firenze). Credo di aver messo qui con le spalle al muro il Benini ma, prevalentemente, per la mancanza di conoscenza dell’Astrologia e della Teologia liturgica da parte sua. Tutti i numeri della rivista “Sotto il velame” – quaderni della ASSOCIAZIONE STUDI DANTESCHI E TRADIZIONALI di Torino – diretta da RENZO GUERCI, possono essere consultati presso la BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE DI FIRENZE – Piazza Cavalleggeri, 1/A – Firenze.

Riassumendo. L’Ottimo e il Boccaccio, insieme alla chiusura della Quaestio, eccetera, sono lì non solo a indurci ad ipotizzare, per correttezza ed accademicamente, che il viaggio potrebbe essere avvenuto anche nel 1301, ma soprattutto perché ci si muova a prendere sul serio l’ipotesi in quanto potrebbe aprire quella porta in grado di introdurci al vero tesoro nascosto da Dante, o di Dante: l’autentico comportamento con cui il Poeta affrontava tutti i giorni la propria vita in armonia con tutta la nobile cultura del medioevo che l’aveva preceduto e di cui era innamorato, certamente ancor più che di Virgilio e del classicismo. Vede, di santi la Chiesa ne ha tanti anche nell’arco dal XIV al XX secolo, però hanno poco a che fare con quelli da san Francesco a Maister Eckhart (1260 – 1328) e Santa Caterina da Siena: salvo qualche eccezione come nel caso di Santa Maria Magdalena de’ Pazzi (1566 – 1607), o di san Giovanni della Croce (1542 – 1591). E questo perché nel medioevo si praticava con autenticità, come nel periodo delle prime Comunità cristiane della Didaché, la scienza della MORALE FILOSOFIA legata alla FILOSOFIA DI PITTAGORA (Convivio, II, XV, 12) e albergata, per Dante, nel nono cielo Cristallino, acqueo e di Maria. Comunque nello studio di Dante esiste un gap, è bene ripeterlo: non è stata esperita adeguatamente, o sufficientemente, la scienza del settino cielo di Saturno, l’Astrologia, e quella dell’Empireo, del decimo ed ultimo cielo, che è costituita dalla sacra Teologia Liturgica. Il tentativo di accollarsi la soluzione dell’annoso problema, viaggio nel 1300 o nel 1301, risulterebbe spinoso non solo in rapporto alla mentalità presente ancor oggi in alcuni ambienti del Vaticano, ma anche avendo presente le varie tesi sostenute da gran parte dei docenti fino ad oggi, in quanto finirebbe per emergere che hanno sostenuto, erroneamente, quasi l’esatto contrario della verità scientifica. Di riflesso il problema risulterebbe spinoso fors’anche per una parte consistente degli uomini politici e dei vertici delle Istituzioni Repubblicane che sembra non abbiano interesse a fare indispettire, appunto, né il Vaticano, né l’Accademia.

Caro Casadei,

è d’accordo con me? Se sì, perché allora non mi invita a parlare a Pisa ai suoi studenti e così tentiamo di rovesciare la frittata? Lei, nelle sue gradite lettere e-mail, diversamente da me, dall’Ottimo, dal Boccaccio, da come si chiude la Quaestio, ma anche dall’abate FEDERICO MARIA ZINELLI (1839), da GIUSTO GRION (cfr. Giusto Grion, “Che l’anno della visione di Dante è il MCCCI”, Udine, Tip. Francesco Foenis, 1865), da FILIPPO ANGELITTI (“Dante e l’Italia”, nel VI centenario della morte del Poeta MCMXXI – Fondazione Marco Besso, Roma 1921), da WALTER E TERESA PARRI (“Anno del viaggio e giorno iniziale della Commedia”, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1956), eccetera, dice di trovare maggiormente soddisfacente l’idea, sposata quasi da tutti, che il viaggio avviene nel 1300 del nostro computo storico ma con una particolarità: esso, per lei, inizierebbe il 25 marzo: cioè il 25 marzo 1300 odierno. Quindi, se non sull’anno, mi dà ragione almeno sul giorno: il 25 marzo (per lei del 1300, e per me 1301). Io però non ho ricavato questo giorno ricorrendo al semplice buon senso, o all’intuito, o ad un fedele ancoraggio alla cultura, agli usi e consuetudini, di allora a Firenze (beninteso, secondo l’opinione che, comunemente e un po’ irriflessivamente, ce ne siamo fatta fino ad oggi noi), bensì scientificamente. Io non mi sono cioè fidato del, “si sa ormai che…; o del si scrive e si legge dappertutto che… ”, in quanto ho coscienza che a manovrare le opinioni della gente e a foraggiare gli scrittori prevalentemente sono, ed erano, quanti detengono il potere economico-politico-religioso e quindi chi aveva, ed ha, interesse a mantenere una data linea di pensiero, o alcune convinzioni. L’indicazione della solennità del 25 marzo quale giorno di inizio della Commedia nel mio metodo emerge dunque alla fine, quale necessaria conclusione delle determinazioni astronomiche, del senso degli aspetti astrologici dei pianeti e delle Stelle Fisse, e di quello congruo, solenne e conclusivo, della sacra Teologia liturgica. Perciò il mio 25 marzo è preceduto da ferrei calcoli matematici e da esatte interpolazioni e dall’ accertamento, in particolare, degli umori UMIDI E CALDI e perciò FECONDI E ATTIVI, esercitati dai pianeti nella Commedia durante quel periodo che, a me, è emerso sorgivamente dai dati scientifici. In riferimento alla data da lei ipoteticamente accreditata del viaggio nella primavera del 1300, e che includa il 25 marzo 1300 in quanto Cristo, non solo si sarebbe incarnato un venerdì 25 marzo, ma poi sarebbe anche morto in croce sempre un venerdì 25 marzo, e che per questo Lui sarebbe stato presente sulla Terra trentaquattro anni esatti dalla Sua incarnazione come indica Dante (Convivio, IV, XXIII, 10), e perciò necessariamente presente dal venerdì 25 marzo del 1° dopo Cristo al venerdì 25 marzo del 35 dopo Cristo, mi sembra di poter affermare quanto segue. L’ipotesi del 25 marzo 1300 per la portata simbolica e liturgica del giorno era già nell’aria, o nota e, alla fine, condurrebbe però sempre al 1301 a voler, o a poter, essere rigorosi in tema di simbolismo e di liturgia. Io già pubblicai (GIOVANGUALBERTO CERI E ROBERTO TASSI, Chiesa di Santa Margherita della Chiesa di Dante, a cura del Centro Culturale Dantesco, ed. MIR, Montespertoli, 1996, p.117), quale primo e sintomatico reperto storico sulla diffusa convinzione culturale dell’incarnazione e morte di Cristo avvenuta in un venerdì 25 marzo, il grandioso lavoro di GIOVAN BATTISTA RICCIOLI, Chronologiae Reformatae (tomi tre, Bologna, 1669, Tomus Primus, lib. VIII, p. 298). In questa pagina si legge: “Sicut Verbum Caro factum est die 25 Marty, feria 6 (VENERDÌ) et natum in utero intemerate Virginis Mariae, ita natum est ex ea, nocte precedente diem 25 Decembris, feria 1 (DOMENICA)”. Il poderoso studio del Riccioli intanto pienamente conferma quanto già sostento dalla Quaestio de aqua et de terra: e non mi sembra poco per quello che, qui, ci preme stabilire. E poco importa, ribadisco, che la Quaestio sia di Dante, o meno. Nel suo studio il Riccioli menziona anche il De Trinitate di Sant’Agostino. Anche il gentile ed astronomicamente preparatissimo, Direttore della “Casa di Dante in Abruzzo”, CORRADO GIZZI, cita e ricorda, illuminandoci: “Eodem die conceptus est in utero Christus et mortuus in cruce”, e quindi si tratterebbe sempre di un venerdì. (Corrado Gizzi, L’astronomia nel Poema Sacro, Napoli, Loffredo editore, 1974, vol. II, p.58). FRANCESCO CANTELLI indica il 25 marzo nella sua “Memoria letta all’Accademia Pontaniana nella tornata del 5 novembre 1899 dal dottor Francesco Cantelli assistente nel R. Osservatorio di Palermo” (Napoli, Stabilimento Tipogtafico nella Regia Università, 1900). L’ultimo che ha rispolverato autorevolmente il 25 marzo 1300 come inizio del viaggio mi sembra però essere l’”acerrimo nemico” della divulgazione delle mie idee e scoperte: Patrick Boyde, Serena Professor in the University of Cambridge ( G.B.), che si trovava proprio nelle prime file, insieme a FRANCESCO MAZZONI, nella sala dove io, a Ravenna, riferii del problema del viaggio nel 1301 al Convegno Internazionale di Studi su “Dante e la scienza”. Ed era la mattina del 29 maggio 1993 con presidente di turno, accanto a me relatore, il caro professor Cesare Vasoli, il quale, un po’ di tempo dopo, ebbe a dirmi: “Lei, Ceri, ha sostanzialmente ragione su tutto”. Alla mia successiva domanda se ero stato però, nelle varie circostanze che lui ben conosceva, un po’ maleducato, non perse l’occasione per dirmi, “Sì!” Fui doppiamente contento della sua sincerità: perché sapevo, dentro di me, che nel mentre benevolmente mi redarguiva dicendo la verità sul mio comportamento, indirettamente mi confermava anche la sua sincerità al riguardo delle sue dichiarazioni sulle mie scoperte su Dante: esse erano, per lui, altrettanto vere. Un vero maleducato in cerca del vero Dante. Ci sta. Alla positiva dichiarazione del Vasoli sulla validità dei miei lavori, seguì anche quella di Enzo Esposito dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ma io alla fine ho capito che un professore, per quanto chiarissimo e storicamente e filologicamente preparatissimo, per quanto possa darmi ragione sul piano personale data l’evidenza delle mie affermazioni e la sua intima onestà, poi non sarebbe però in grado di dimostrare ai suoi colleghi, per le difficoltà delle materie coinvolte e da me impiegate, la validità scientifica di quello che io sostengo e lui ha deciso di voler difendere. Ed è qui che Egli, forse giustamente, si fa timido, anche se ben disposto verso di me. Questa è la situazione. Le mie scoperte paiono perciò destinate a non poter migliorare oggi la nostra cultura e civiltà, come sarebbe stata intenzione di Dante allorché si premurò tanto di tramandarcele con tanto ingegno, sapienza e coraggio.
Approfittando dei due problemi sul tappeto, dell’anno del viaggio nel 1301 e della data di nascita di Dante personaggio il martedì 2 giugno 1265, mi piacerebbe arrivare adesso a sconfessare le teorie di Boyde, sia perché se lo meritano, in quanto sono sbagliate e confondono la mente degli studenti del medioevo e di Dante, sia per vedere, goliardicamente, l’Università di Pisa primeggiare sull’Università di Cambridge (G.B.): ovviamente se lei si butterà dalla mia parte concedendole io, ovviamente, il “beneficio d’inventario”. Veda di PATRICK BOYDE, “L’uomo nel cosmo” ( Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 272 -276); veda di PATRICK BOYDE, lettera inviatami in data 13 luglio 1994 e pubblicata nel mio volume dal titolo “Dante e l’astrologia” con presentazione di Francesco Adorno (Firenze, Loggia de’ Lanzi, 1995, p. 109). Si tratterebbe di una battaglia valida e nobile, specialmente se il guanto di sfida l’avesse prima gettato un altro. E includo, insieme a Patrick Boyde, anche la nostra Graziella Federici Vescovini che nel suo famoso articolo sul viaggio nel 1300 mi menzionò due volte sostenendo che la discussione che io portavo avanti sul viaggio nel 1301, come anche quella di Filippo Angelitti, per le ragioni da lei precedentemente esposte, le pareva ormai “oziosa”, cioè inutile (GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI, Dante e l’astronomia del suo tempo, nella rivista internazionale ‘Letteratura Italiana Antica’ diretta da Antonio Lanza, anno III – 2002, Moxedano editrice, Roma, pp.291 – 309). Vatti a fidare dei professori di storia. Mi confortò la lettera che subito mi inviò Giorgio Bàrberi Squarotti da Torino in data 3 maggio 2002, e cioè una volta avuto in mano l’articolo della Vescovini. Squarotti mi scriveva: “La Federici Vescovini è stata mia collega a Torino molti anni fa, ma non mi risulta che mai si sia occupata di Dante”. Effettivamente nel suo articolo a sostegno della tesi del viaggio nel 1300 si nota che essa è preparatissima in Storia dell’astrologia medievale, ma ai primi passi nell’esegesi dantesca. Per cui avevo, e continuo ad avere tutt’ora, una grande stima della Federici Vescovini come storica dell’astrologia medievale, ed anzi la sua competenza storica è tale da fare invidia e mi sembra anzi superiore perfino a quella di Eugenio Garin, ma sa, la storia, per quanto utilissima, è una cosa, e le scoperte scientifiche pienamente controllabili, e per questo inconfutabili, un’altra. Una cosa sono le opinioni, e una cosa i fatti: ed io mi occupo, soprattutto, di quest’ultimi in senso scientifico-medievale e dantesco.

Volendo adesso procedere ad una valutazione più generale, e anche dialettica, sul viaggio nell’anno 1300, oppure nel 1301, possiamo notare intanto che tutti lo collocano, naturalmente, in primavera. Molti autori indicano comunque un arco di giorni diverso. C’è una discussione anche sulla durata in ore. In relazione al 1300, i più lo collocano nell’aprile del 1300, però con la solenne festa della Pasqua, allora cadente la Domenica 10 aprile 1300, più o meno a mezza strada rispetto all’interno campo cronologico ipotizzato di sei o sette giorni, e quindi la solenne festa verrebbe ad assumere un senso inadeguato, o scarso. Quindi la Pasqua, per il viaggio nel 1300, non corrisponde, né al monumentale inizio della Commedia, né alla sua solenne fine. Per il 1300 si viaggia quindi alla cieca. Nel caso da me originalmente prospettato del viaggio nel 1301, il viaggio stesso invece inizia la notte liturgica del 25 marzo 1301, giorno dell’Incarnazione di Cristo e di apertura del XIV secolo a Firenze secondo l’antico calendario fiorentino (se pur non preso in considerazione nemmeno dal Manuale di cronologia di Adriano Cappelli), e termina alle ore 12 – 15 del Venerdì Santo 31 marzo 1301. E si tratta di una PERFEZIONE ASSOLUTA, qualificantissima, tanto del punto di vista astronomico-astrologico, quanto liturgico, che simbolico e cabalistico, come ho già illustrato nell’intervista fattami a TV CANALE 10 da UMBERTO CECCHI e che si può ascoltare, cercando su GOOGLE, a mio nome: GIOVANGUALBERTO CERI – YOUTUBE, http://www.youtube.com/watch?v=wV4vEG15yjA.

Il caro Professor Giorgio Bàrberi Squarotti, controrelatore all’Università di Torino della brillante tesi di laurea di Valentina Costamagna intitolata “La data della visione dantesca: 1300 o 1301” e discussa il 29 giugno 2004, concluse che ormai era chiaro che l’ipotesi 1301 era maggiormente accreditabile di quella sul 1300. Non credo perciò, come lei mi scrive, di essere oggi solo a dire 1301. Però in questa tesi, voluta dallo stesso Bàrberi Squarotti, non viene affatto affrontato il problema degli umori, “UMIDI e CALDI, e perciò FECONDI E ATTIVI”, esercitati dai pianeti nell’arco del viaggio (Claudio Tolomeo, Tetrabiblos, I, V, 1-2: I, VIII, 1-2), e dunque, per Dante, umori anche, e necessariamente, “MONTANTI e NOBILI” (Convivio, IV: XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII). I pianeti in questione, come sono quattro sotto il profilo astronomico-matematico, sono sempre quattro anche sotto il profilo astrologico e liturgico. Si tratta del Sole, Inf., I, 37-43; Luna, Inf. XX, 127-129; di Venere, Pur., I, 19-21; e di Saturno, Par., XXI, 13-15. Se fossero stati considerati dalla Costamagna anche gli umori dei pianeti, ovviamente tutti in fase “nobile, montante e feconda”, insieme altre particolarità sempre di carattere astrologico, nonché se fosse stato considerato alche il senso e il valore simbolico delle feste liturgiche poste sapientemente da Dante all’inizio e alla fine della Commedia, non vi sarebbe rimasto più alcun dubbio sull’anno del viaggio: sarebbe emerso come definitivo l’anno 1301. Pensi che si legge nel Convivio che Cristo volle morire nel giorno del compimento del trentaquattresimo anno di età per dover morire nell’arco montante e nobile, e dunque umido e caldo della vita, poiché non era “convenevole la divinitade stare in cosa in decrescere” (Convivio, IV, XXIII, 10). Ma forse risulta agli esegeti di Dante che Dante stesso abbia trascurato i quattro umori indicati anche da Tolomeo (umido, caldo e secco e freddo) al punto tale da non sentirsi essi stessi stimolati ad occuparsene? Forse nella Commedia la figura di Gesù Cristo, per gli esegeti di Dante, non è importante, considerato che Lui decise di voler morire nell’arco della vita ancora umida e calda? Faccio notare che se la Commedia si svolgesse veramente nell’anno 1301 del nostro computo odierno, come a me risulta, essa, cominciando con la festa dell’Incarnazione di Cristo e terminando nel momento del versamento del sangue di Cristo stesso per la nostra salvezza, finisce per coinciderebbe col punto più qualificante e solenne del CREDO (vv. nn. 7 e 8). Durante questi due versetti i fedeli, data la solennità del momento, sono invitati ad inginocchiarsi per tutto il tratto, per ritornare poi in piedi al versetto n. 9, al “Resurrexit”. Orbene il campo della Commedia, seguendo la mia cronologia sul 1301, diventa a suo modo esso stesso quello del momento dei versetti 7 e 8 del Credo. Dunque, versetto n. 7: “Et Incarnatus est de Spiritus Sancto ex Maria Virgine et homo factum est “ (In questo istante i fedeli si inginocchiano: e si tratta dell’ inizio liturgico della Commedia nella notte del 25 marzo 1301 [cfr. Genesi, I, 5: “e fu sera e poi mattina”] ). Versetto n.8: “Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, passus, et sepultus est.” ( Alla fine di questo versetto, cioè al “Resurrexit” che apre il versetto n. 9, i fedeli ritornano di nuovo in piedi: e si tratta della fine della Commedia alle 12h. – 15h. del Venerdì Santo 31 marzo 1301 in cui Dante, come Pinocchio, è diventato un vero uomo in grado di agevolare anche gli altri a diventarlo). Finendo inoltre l’opera, secondo le mie ricerche, alla ore 12 – 14 del Venerdì Santo 31 marzo 1301, rispecchia pienamente anche il TE DEUM: “quos pretioso sanguine redemisti” (v.22), oltre che la liturgia del 2 febbraio odierno e festa della Candelora e dell’apparizione di Beatrice a Dante. La Commedia, se la poniamo sul 1301, risulta dunque indicare solennemente essere un Credo ed un Te Deum, mentre tale indicazione calza perfettamente anche con lo scopo letterario e mistagogico dell’opera. Cosa risulterebbe invece essere l’opera se la ponessimo sul 1300? Dal punto di vista di quanto essa è “bella” cambierebbe ben poco. Ed è qui che si aggrappano gli esegeti tradizionali appellandosi al fatto che essi, per professione, si occupano di Letteratura italiana la quale, mentre vuol far gustare la bellezza del verso intende anche insegnare la lingua italiana, ma nulla di più. Se Dante dice qualcosa, o molto, di più non sarebbe affar loro, mi sembra di aver capito e, con questo, allora addio alla nostra cultura e civiltà.

Per essere più chiaro in relazione all’indizione del Giubileo da parte di Bonifacio VIII, e quindi per affrontare meglio il problema di Casella (Pur., II) che a lei sta particolarmente a cuore in quanto il personaggio è sempre palesemente agganciato all’idea dell’esistenza di un qualche giubileo, devo aggiungere quanto segue.

Tesi 1300 per Casella. Bonifacio VIII aveva fatto realmente iniziare il suo giubileo, come risulta e tutti sono d’accordo, il 25 dicembre del 1299 del nostro computo storico per poi pensare di poterlo chiudere il 24 dicembre 1300, per cui, aggiungendo i tre mesi di attesa di Casella (Pur., II, 76 – 102) a datare dall’apertura del perdono giubilare papale, arriviamo al 25 marzo del 1300 come sostengono quasi tutti gli esegeti e, mi sembra, lei compreso. Per questo lei insiste tanto sul 25 marzo 1300 e la sua insistenza mi trova abbastanza favorevole nella misura in cui lei prende per buona la precisione di Dante, quasi fosse un matematico e non uno dei nostri poeti moderni che, in queste cose, si può ragionevolmente immaginare che procedano ad occhio, per pressappochismo. Se fosse solo questa la somma da fare, 25 dicembre 1299 più tre mesi, uguale 25 marzo 1300, lei avrebbe finalmente trovato un punto che le dà pienamente ragione. I documenti storici provano però che le cose non andarono rigorosamente in questo modo poiché la mente di molti cittadini era agitata anche da altre idee religiose. Infatti il punto derimente è: risulta a noi, oppure no, che ci fosse nell’aria, a cavallo fra il XIII e il XIV secolo, il desiderio, ed anche la solenne richiesta, da parte di qualcuno, dei Fiorentini e di Dante, di celebrare un giubileo a Nativitate nel 1301 in base al loro proprio calendario ab Incarnatione? È certo di sì. Per contrastare l’evento, per non dar seguito alla richiesta dei Fiorentini e di Dante, papa Bonifacio VIII intanto allungò il suo giubileo di un giorno chiudendolo il 25 dicembre 1300, cioè nel giorno in cui avrebbe dovuto aprirsi l’altro, quello fiorentino e poi, nella sua pronuncia di chiusura, vietò espressamente e solennemente che si celebrasse il giubileo in base al calendario “ab Incarnazione”: e con questo decretò che il giubileo richiesto dai Fiorentini e di Dante non avrebbe dovuto celebrarsi. Si legge: “Jesu Christi 1300. Bonifacii VIII PP. 6 (Piissimo Papa Bonifacio VIII nel sesto anno del suo pontificato). Pronunciatur annum jubilaei non extendi ad sacrum verbi incarnati diem. … Declarat insuper idem dominus noster Summus Pontifex quod annus iste jubileis trecentesimus hodie (25 dicembre 1300) sit finites, nec extendatur ad annum incarnationis secundum quosdam” (ANNALES ECCLESIASTICI, AB ODORICO RAYNALDO , Tomus XIIII, Colonia, Ioannis Wilhelmi Friessem, 1692, p. 540). Bisogna notare anche che questa richiesta (“secundum quosdam”), mentre certificata l’esistenza di un desiderio di celebrare un giubileo l’anno seguente a quello di Bonifacio VIII, finisce anche per convalidare che ci fosse un computo calendariale dell’era cristiana anche a partire dall’anno dopo a quello di Dionigi il Piccolo (che era sempre ab Incarnatione), e perciò giustifica anche un computo giubilare a Nativitate un anno dopo a quello, sempre a nativitate Domini, proclamato da Bonifacio VIII. Orbene tale certificazione, tale bolla pontificia, se pur non depositata in cancelleria, convalida pienamente anche la chiusura della Quaestio de aqua et de terra di cui tanto, anche fra noi due, abbiamo parlato a convalida della tesi 1301.

Tesi 1301. Bisognerà dunque, almeno ipoteticamente, assumere che da tre mesi, cioè che dal 25 dicembre 1300 del nostro computo storico, e non dal 25 dicembre 1299, per qualcuno sarebbe dovuto iniziare un altro Giubileo a Nativitate, se pur non indetto dal papa e quindi in base all’antico Calendario fiorentino “ab Incarnatione”. Il computo dei tre mesi di attesa sofferti da Casella (Pur., II, 76 – 102) potrebbe perciò dover partire da questo giubileo espressamente invalidato dal papa e, se così, arriviamo al mio sabato 25 marzo 1301 e inizio della Commedia. Quando Casella fu, finalmente anche lui, benevolmente imbarcato dall’Angelo nocchiero era, appunto, il 25 marzo 1301 del nostro computo storico e giorno di apertura del XIV secolo a Firenze in perfetta armonia con la chiusura della Quaestio. Se Bonifacio VIII vieta una cosa, il giubileo a Nativitate richiesto dai Fiorentini, siamo sicuri che Dante lo segua? Oppure con la Commedia egli vorrà celebrare, se non a dispetto, almeno ad integrazione o surroga, quel giubileo che il Sommo Pontefice gli aveva vietato? È plausibile che Dante si oppunga a Bonifacio VIII in una materia così delicata? Che egli abbia velato questo suo comportamento dissenziente anche per non incorrere nei rigori dell’Inquisizione medievale? Avrà potuto egli, da un punto di vista cristiano, non tener conto della volontà del Sommo Pontefice? Se lui credeva nel profetismo e ai profeti a me risulta che avrebbe evangelicamente potuto farlo. Infatti già sappiamo che egli si ritiene un gran sacerdote (Pur., XXVII, 139 – 142), ed un profeta in quanto azzarda più di una profezia, mentre sappiamo anche che nelle prime Comunità apostoliche seguaci della dottrina della Didaché i profeti occupavano un posto di grande autorità nella Chiesa: erano gran sacerdoti, celebravano l’eucarestia, improvvisavano da soli il rendimento di grazie cioè senza seguire le formule prescritte dai vescovi e quindi dal papa e, nel nostro caso, da Bonifacio VIII. Oltre al dono carismatico di profezia, ottenuto anche per scienza (grazia cooperante e, per Dante, quella del IX cielo Cristallino, acqueo e di Maria), i profeti avevano anche la pienezza del sacerdozio: erano vescovi, veri successori autentici degli apostoli e missionari al par di loro. Si legge anche che “se una comunità (una diocesi) non ha almeno un profeta, allora tutti i beni di cui dispone dovranno essere elargiti ai poveri”. E anche in questo Dante sarà stato perfettamente d’accordo con queste prime comunità legate anche a san Pietro apostolo (DIDACHÉ, B – Istruzione liturgica [c – Eucarestia]; C – Statuto disciplinare, [b – Doveri di carità]: cfr. FULBERTO CAYRÉ, Patrologia e Storia della teologia, Primo volume – primo e secondo libro, Roma, Desclée e Ci, Editori Pontifici, 1948, pp. 44-45 e 58). Ciò premesso può essere sostenuta l’ipotesi che Dante, almeno per se stesso e per Casella, per tutte le canzoni che da giovani avranno cantato insieme indirizzandole alla Beata Vergine Annunziata, abbia voluto e potuto celebrare un giubileo speciale, sempre a Nativitate ma in base al Calendario antico fiorentino .

Volendo adesso riferire con maggiore abbondanza di particolari l’episodio del poeta CASELLA, intimo amico di Dante, assumendo che tutto stia come dico io, allora egli sarebbe stato imbarcato dall’angelo nocchiero, alla foce del Tevere (Pur., II, 94 – 105), e perciò inizierebbe il suo viaggio verso il Purgatorio, nello stesso giorno del 25 marzo 1301 in cui lo inizia Dante. Uno va orizzontalmente per mare (Casella), l’altro va per terra ma in profondità e verticalmente, passando dal centro della Terra stessa (Dante). In questo caso fra i due si aggiungerebbe un’altra simpatica circostanza amicale: partono insieme il giorno dell’Annunciazione a Maria. È congruo? Inoltre arrivano sulla spiaggia del Purgatorio sempre nello stesso giorno e momento e si ritrovano insieme. Simpatico? Imbarco di Casella alla foce del Tevere per l’Incarnazione di Cristo del sabato 25 marzo 1301 e inizio del XIV secolo a Firenze. Mi domando adesso: nel momento della levata del Sole? Se sì, Casella avrebbe impiegato 48 ore circa a giungere in Purgatorio poiché vi giunge all’alba del lunedì 27 marzo 1301 e, cioè, quando arriva anche Dante, come io già calcolai nel mio volume: GIOVANGUALBERTO CERI, “Dante e l’Astrologia”, con presentazione di Francesco Adorno (Loggia de’ Lanzi, Firenze, 1995, pp. 51 – 70). Tenendo conto della circonferenza della Terra, anche se ai tempi di Dante era calcolata più piccola, è possibile comunque grossomodo controllare la velocità del battello su cui è stato pacificamente imbarcato Casella dall’Angelo nocchiero, che risulterebbe congrua alla velocità, appunto, dichiarata da Dante stesso, e non per caso: “che ‘l muover suo (del battello) nessun volar pareggia” (Pur., II, 18). Io calcolai una velocità pari a 100 nodi orari e corrispondente a circa 185 Km all’ora, ma potrei anche essermi smagliato. Dante è un poeta scientifico, lo vogliono, o no, capire i Dantisti? Anche il calcolo di questa distanza e velocità, nel contesto in cui il Poeta la inserisce, crea un’emozione poetica. Solo risolvendo i suoi problemi scientifici possiamo arrivare a provare intimamente una significativa e meravigliosa sensazione in più. Non le pare?

Caro Casadei,

io vorrei costituire un’associazione, sarà considerata per “delinque”!, finalizzata all’integrazione dell’attuale metodo di studio universitario riguardante le Scienze Umane, ivi compresa la facoltà di Lettere e Filosofia, con un altro, il mio. Non si dovrebbe più studiare tante opere e tanta storia per poi, eventualmente, inventare, scoprire e innovare. Dopo tanta storia e tante opinioni lette e mandate quasi a memoria, io penso che lo spirito di ricerca si appiattisca, tenda a banalizzare tutto. Si dovrebbe invece, per me, stare attenti all’emergere eventuale di un problema che ci attira, piace e diverte, ed essere autorizzati a tentare subito di risolverlo, anche senza averne immediatamente i mezzi, le conoscenze necessarie, o adeguate. Gli sforzi, il tentativo di risolverlo, sarebbe esso stesso didattico nonostante le grosse insufficienze. Si dovrebbe tentare subito nonostante la nostra ignoranza panoramica e strutturale proprio al fine di far salvo l’entusiasmo giovanile, o ontologico, che poi non è detto che sia patrimonio solo dei giovani, come del resto pere insegnare anche la vita di Socrate. Con l’ambizione di risolvere un importante problema, e al fine di riuscirci, ci impareremo poi con stupore e meraviglia quello che ci manca in termini si storia, di opere, e di cultura generale. Nel lanciare l’idea mi sembra quasi di avvallare il personaggio di MOLIÈRE, Le bourgeois gentilhomme, però io credo sia venuto il momento di tentare. Noi siamo troppo figli dell’enciclopedismo del XVIII secolo e dell’Umanesimo di Francesco Petrarca. Bisognerebbe a questo punto potere ritornare alla passione delle università dei tempi di Dante per la ricerca della verità al fine di arrivare ad integrarla in quello che, lentamente, siamo diventati. Non ci si dovrebbe interessare di qualcosa se prima non ne siamo pienamente innamorati. E la nostra mente e il nostro cervello, in tal caso, ne rimarrebbero positivamente influenzati insieme ai rapporti umani. Sarebbe un attacco del genio e della scoperta, al comune elogio della lettura e del riuscire a mandarla a memoria. Leggere per sapere, oppure per imparare a pensare e a meditare? Integriamo perciò il “leggere per non dimenticare”, col “leggere per poter pensare” che poi condurrebbe al potere inventare e allo scoprire, in generale, più facilmente il quale, a sua volta, terrebbe psichicamente e spiritualmente giovane l’essere umano mantenendo la sua “entropia verso il minimo”, come io dimostrai anche nella mia tesi di laurea dal titolo “Ricerca esoterica e analisi fenomenologica in Raymond Abellio” – Università di Firenze – Anno Accademico 1984 – 1985. Dante, con la Commedia, potremmo modernamente, e con me, anche dire che cerca di riportare in sé stesso, e in chi lo segue, sempre l’entropia verso il minimo, di spingere cioè verso l’ipertensione psichica e spirituale allontanando l’ipotensione e la noia per la vita, ma, ovviamente, a potere impugnare pienamente tutta la sua Opera. Dante non vuol essere un semplice letterato ma anche un maestro di vita e di Mistagogia. Diversi professori ne hanno avuto il sospetto, poi però si sono lasciati intimidire dall’ampiezza, profondità e difficoltà del tema. E allora non diciamo di stare studiando Dante, quanto, e più semplicemente, una parte ben circoscritta del suo impegno di lavoro e ontologico. L’Opera del Nostro, se pienamente intesa, servirebbe al duraturo mantenimento dell’ordine interiore che egli stesso identifica, alla fine, nel cielo di Marte, nella Croce di Cristo (Par., XIV, 82 – 139) simbolo di un inesauribile desiderio di lavorare e di ricerca della verità (“ma chi prende sua croce e segue Cristo …”, v. 106), ovviamente nel senso del darsi daffare per riuscire ad amare realmente. E questo anche perché una cosa è volere amare, e un’altra il potere farlo e per cui bisognerà andare a scuola. Non so se a cominciare da quella neoplatonica di Ipazia di Alessandria. Anche in Dante il problema richiama il sacramento della Confermazione: Marte, Morte, Martirio per la verità. Sa, questa semplice idea può fondare e tenere in piedi una civiltà foss’anche pagana: “Di quella Italia fia salute / per cui morì la vergine Cammilla, / Eurialo e Turno e Niso di ferute” (Inf., I, 106 – 108). Mi conceda adesso un inciso autobiografico sul problema dell’aumento dell’entropia nelle scienze umane, visto che mi è capitato di entrarci, se pur non seguendo la logica dialettica e la retorica, quanto una infantile spontaneità e vanità.

Per l’applicazione della legge sull’ aumento dell’entropia, cioè del secondo principio della termodinamica, o di Carnot-Clausius, o della “degradazione dell’energia”, alle Scienze Umane, e quindi anche alla letteratura e all’Opera di Dante, mi è servita molto anche la mia tesi di laurea in Filosofia dal titolo “Ricerca esoterica e analisi fenomenologica in Raymond Abellio” (Università degli Studi di Firenze – Anno Accademico 1984 – 1985). Durante la stesura mi avvalsi, nel 1983, anche degli insegnamenti direttamente impartitimi a Firenze dal mio amico WILHELM FUCKS che per primo, all’Università di Oxford e con l’ausilio di un gruppo di matematici, fisici, germanisti e musicologi, aveva dimostrato e pubblicato per la prima volta questo possibile salto, o applicazione, alle Scienze Umane (cfr. Lettera inviatami da Fucks in data 21.07.1985 a difesa della mia tesi di laurea e pubblicata, in all. n.5, nel mio volume “Il Segreto astrologico nella Divina Commedia” a cura di Silvia Pierucci, ed. Jupiter, S.Benedetto-Pisa, 1994). L’applicazione che io feci nella mia tesi di tale principio alla letteratura venne però respinta dalla Commissione esaminatrice e fu uno dei motivi della spettacolare e deprecabile votazione che ottenni. La mia tesi io credo però che venisse intenzionalmente derisa soprattutto in dipendenza per una questione politica che direttamente mi riguardava: e dunque l’entropia e le altre cose che avevo scritto nella tesi costituivano soltanto la necessaria scusante all’ inaccettabile giudizio della Commissione esaminatrice. La quasi totalità dei suoi componenti non si rese conto che, a guastare la festa mandando un forte input negativo ai suoi componenti su tutta la discussione, era stato qualcuno imbeccato da quella politica che si svolge dietro le quinte. Tale forza politica io credo che debba essere identificata nella così detta “zona grigia” la quale potrebbe far sentire la sua presenza anche nelle università: ma sono ugualmente da 27 anni che mi trovo in trepida attesa al fine che mi si smentisca, con ciò dimostrando finalmente il contrario di quello che io, intimamente, pensai e continuo a pensare. Ebbi la votazione minima, relativa ed assoluta, mai verificatosi nella secolare storia della nostra università: 66 su 110 (sessantasei su centodieci) quando la media dei miei esami era di 107 su 110 e due lodi. Ero stato condannato anch’io all’esilio da dei fiorentini analogamente a Dante? Come fu possibile? Lei come se lo spiega? Perché adesso non ricordarlo, se quello che io ho scoperto e messo a fuco su Dante è ancorato anche alla storia di me stesso e alla mia tesi di laurea? Dunque devo fare un inciso sull’inciso.
Io mi creai molti nemici negli ambienti politici, tanto da far sì che questi si facessero duramente sentire anche all’Università degli Studi di Firenze attraverso la “zona grigia”, in quanto la questione da me sollevata e poi positivamente risolta, fu grossissima e pesantissima. Mi immagino che mi venisse affibbiato ingiustamente questo 66 su 110 perché, in conseguenza di quanto ricordato, ero stato iscritto a “Libro Nero”, come mi fu fatto presente allora durante la battaglia. L’episodio del voto di laurea fu per punirmi per questa mia precedente lotta agli appalti delle Imposte di Consumo, o Dazio, e alla conseguente corruzione ad essi intimamente legata (Cfr. Intervento dell’avvocato Franco Pacchi nella seduta del Consiglio Comunale di Firenze del 14 luglio 1967 e il successivo articolo apparso su ‘La Nazione’ (cronaca) in data 22 luglio 1967. Cfr. anche sull’argomento la documentazione da me pubblicata sulla rivista “Sotto il velame” di Torino dell’Associazione Studi Danteschi e Tradizionali diretta da Renzo Guerci, n. VI, Settembre 2005 – Il leone verde Edizioni – Torino, pp. 147 – 163). Fai una lotta politica, giusta, democratica, come fece anche Dante per far salva la cultura e nobiltà fiorentina, ed essa ti si ripercuote negativamente contro per tutta la tua vita, perfino nel successo dei tuoi studi. Io penso mi sia andata proprio così (cfr. l’articolo-lettera che riguardava direttamente le mie gesta apparso sul quotidiano ‘l’Unità’ del martedì 5 settembre 1967 – “Rappresaglia alla Trezza” – e che potrà essere consultato, a mio nome, anche su Facebook). Intrapresi questa lotta seguendo il Sindaco di Firenze, Professor Giorgio La Pira e sventolando, come una bandiera, la deliberazione consiliare del 5 ottobre 1964, n. 5555/710/C e il successivo “Ricorso” di La Pira, in data 16 gennaio 1965, al fine di non lasciarsi intimidire, o fermare, da nessuno in questa etica e nobilissima battaglia. Il temerario “Ricorso” del Sindaco e della sua Giunta portò poi anche alle dimissioni dello stesso La Pira esiliandolo, e per sempre, da Palazzo Vecchio ma, al tempo stesso, l’episodio fece anche da punto d’appoggio, e fortunatamente, al varo dell’I.V.A. (Imposta sul Valore Aggiunto) non appaltabile dal 1° gennaio 1973, al posto della istituenda I.C.O. che sarebbe stata invece appaltabile sempre dalle vecchie Società: INGIC, TREZZA, SARI, BUONACCORSI, CREMONINI, eccetera. Il successo della mia battaglia fu ovviamente possibile per l’intervento del mio amico Mons. Enrico Bartoletti, prima Amministratore Apostolico (sede plena) dell’Arcidiocesi di Lucca, e poi Segretario Generale della C.E.I., nonché grande amico di Paolo VI e maestro, alla stessa C.E.I., di mons. Albino Luciani di Venezia , del Cardinale Poma di Bologna ed altri (veda corrispondenza fra me e Mons. Bartoletti su Fecebook a FOTO a mio nome: Giovangualberto Ceri). Credo che desse un appoggio consistente al varo dell’I.V.A. al posto dell’ I.C.O., in modo da por fine a questo genere di corruzione oggi stimabile in cinque miliardi di euro annui circa, proprio l’On.le Aldo Modo: ma non gli portò nemmeno a lui fortuna. Adesso non sono in grado di ipotizzare se qualcuno se lo fosse legato al dito. Fine dell’inciso sull’inciso. Ritorno adesso al semplice inciso, a Wilhelm Fucks e alla sua applicazione alle Scienze Umane e a Dante, del secondo principio della termodinamica, o di Carnot-Clausius.
Non perché il mio amico Fucks, già docente a Berlino di Fisica teorica nel 1940, è stato il più qualificato ingegnere sul “plasma fisico” dell’immediato dopoguerra. Non perché egli ha contribuito a fare realizzare alla Francia la bomba atomica ed è stato accolto nell’ “Ordre des Palmes Accadémiques” de la République Francaise, o perché è stato decorato della “Gran croce tedesca al merito”. Non perché ha poi fondato, nella sua Germania, ad Jülich, il Centro di ricerche atomiche tedesco. Non perché è stato Rettore dell’Università di Aaachen dal 1950 al 1952 e il Senior dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Federale di Germania. Non perché aveva al suo attivo l’invenzione di più di novanta brevetti industriali quasi tutti utilizzati. Ma semplicemente e solo perché egli ha contribuito a far vincere la Battaglia aerea d’Inghilterra alla Gran Bretagna, gli esaminatori della mia tesi di laurea avrebbero dovuto non snobbare per nulla, durante la discussione della stessa tesi, l’ applicazione alle Scienze Umane del secondo principio della termodinamica che io avevo messo a punto proprio seguendo le nozioni impartitemi direttamente dallo stesso Fucks a Firenze.
Aveva seguito la mia tesi il professor AMEDEO MARINOTTI a cui gli avevo accennato anche alla mia amicizia con Fucks. Marinotti però si dimise, o fu costretto a dimettersi (?), qualche giorno prima della discussione della mia tesi. L’evento resta ancora tutto da chiarire. Io avevo applicato l’estensione dell’entropia operata da Fucks, a Romeo e Giuletta di Skahespeare, al Vangelo, a Dante, eccetera.

La Battaglia aerea d’Inghilterra? Parliamone un po’. Se Fucks avesse risolto anche praticamente, oltre che teoricamente come aveva già fatto precedentemente con il grosso entusiasmo di Hermann Goering, la turbolenza che avevano i caccia Bf 109E, Messerschmitt, ad iniezione diretta, che affrontavano nel cielo inglese gli Spitfire a carburazione semplice, gli aerei tedeschi sarebbero potuti rimanere in battaglia sopra il suolo inglese per circa dieci minuti in più con la possibilità di andare subito in picchiata e di permettersi il lusso di un volo rovescio molto più lungo di quello che si poteva concedere lo Spitfire con motore Rolls-Royce. Il fenomeno avrebbe portato presumibilmente il rapporto a un aereo tedesco abbattuto contro quasi due e mezzo Spitfire inglesi abbattuti (In questo momento non dobbiamo pensare ai poveri giovani piloti) e la guerra, con molte probabilità, si sarebbe potuta subito concludere a favore della Germania considerate le altre particolari circostanze di qual momento storico. Sorridendo sotto i baffi mi disse Fucks al bar Gilli: menomale che il problema non fu risolto se no, con molte probabilità oggi non saremmo qui. Quello che mi fece impressione fu quel suo sorriso ironico sotto i baffi. La luftwaffe, a causa della scarsa autonomia dei suoi aeri Bf 109E, dovuta alla turbolenza, era costretta quasi sempre a rientrare alla base con la spia rossa del carburante accesa. La guerra, nel caso contrario, sarebbe dunque stata subito vinta dall’odiato Hitler e per cui, per Willy, adesso giù il cappello ancor più che per la sua estensione del principio dell’entropia alle scienze umane. Egli mi raccontò anche tutto quello che avveniva nell’ hangar nell’anno 1940, dove lui era il Direttore responsabile incaricato di risolvere il problema con, alle sue dipendenze, circa duemila addetti fra ingegneri, personale tecnico e di servizio, e militari della luftwaffe. Aveva fatto mettere sul pavimento, sotto le ali dei Bf 109E, Messerschmitt, fiocchi di vello di pecora al fine di misurare anche sensibilmente, empiricamente, la presenza del vento, la sua direzione e la sua forza. La perdita dello sfruttamento di potenza del motore Daimler Benz dei Bf 109E, mi disse che era intorno al nove per cento circa. Non so però se adesso ho finito, contra mia voglia, per rivelare, approfittando delle confidenze e smorfie di un amico, un segreto di Stato: però si tratterebbe pur sempre della verità, e di un qualcosa da aggiungere a tutto quello che già sappiamo sulla Battaglia d’Inghilterra. Io mi immagino che Fucks abbia fatto venire a Hermann Goering, se non ad Hitler, l’esaurimento nervoso a cavallo fra il 1940 e il 1941. Fucks era assai vicino anche a quel mondo di Dante che io ho scoperto. Mi ricordo che, quando dopo la guerra gli capitava di andare a cena dal cardinale di Colonia, poi intonavano sempre insieme, cantandolo, il Te Deum e il Credo come, adesso si capisce, e non di rado!, avrà fatto anche Dante durante il suo esilio. Io e Willy abbiamo anzi cantato i due inni insieme anche al bar GILLI di Firenze, se pur passando un po’ per matti. Ma chi se ne fregava! Perché Willy sarebbe diventato mio amico? Sono sicuro perché aveva notato la mia particolare impostazione mentale, per lui assai fertile e corretta, nell’affrontare la letteratura e Dante. Se quello che ho scoperto su Dante e sul suo Medioevo risultasse vero, allora il giudizio del Professor, Dottor, Ingegner Wilhelm Fucks avrebbe colto nel segno: si deve fare così, come ho fatto io, a studiare. Comunque mi dispiace per quanti non videro, e non vedono, il secondo principio della termodinamica applicabile anche a Romeo e Giuletta di Skahespeare, al Vangelo e a Dante: ben inteso applicabile, ma fuori del suo Paradiso e forse anche dalla vita dei santi martiri e degli eroi per la loro capacità di rompere il cerchio chiuso e quindi di mantenere l’entropia sempre verso il minimo nonostante la continua ripetizione di un fenomeno e lo scorrere del tempo in senso cronologico. Il principio kabbalistico e religioso che sottintende all’arresto del fenomeno dell’aumento dell’entropi ? 3 + 3 = 6 + 1 (giubileo e forza che rompe il cerchio chiuso corrispondente all’Uno, al Bene, a Gesù Cristo) = 7 (giorno giubilre. Con Cristo non ci si annoia mai!); 6 + 6 = 12 + 1 (Gesù Cristo e forza che rompe il cerchio chiuso e rinnova l’entusiasmo per la vita mantenendo l’entropia costantemente verso il minino) = 13 (numero giubilare e posto occupato da Gesù fra i dodici apostoli); 7 x 7 = 49 + 1 (Gesù Cristo e forza che rompe il cerchio chiuso corrispondente all’anno giubilare) = 50 (Anno del giubileo). Questo anche per ricordare (semmai ce ne fosse bisogno) che, pitagoricamente e kabalisticamente, l’anno giubilare, compreso quello di Bonifacio VIII e, loro proprio modo, compreso quello dei Fiorentini e di Dante, corrisponde a quell’anno in fase montante e nobile che marcia, o conduce, al culmine del 50° corrispondente, matematicamente, ad un istante. L’anno giubilare non è affatto l’anno volgente e volgare che segue l’istante del compimento del cinquantesimo anno, come alcuni dantisti hanno ipotizzato anche in occasione dell’ingresso nel nostro terzo millennio (cfr. RAYMOND ABELLIO, La structure absolue, Essai de phénomenologie génétique, Gallimard, coll. Bibliothèque des Idées, Paris, 1965: La sphère sénaire universelle, § XI Par le dogme du sabbat et du jubilé pp. 153 – 158; Annexe II – Thèogenèse et Numérologie – pp. 515 – 524; RAYMOND ABELLIO et CHARLES HIRSCH, Introduction à une théorie des nombres bibliques – Essai de numérologie Kabbalistique, Gallimard, Les Essais CCXXVIII, Paris, 1984). Questa notizia potrà contribuire anche a controllare meglio, procedendo a ritroso nella storia, in quale anno “ab Urbe condita”, inizia la nostra èra. Per il calendario antico stile fiorentino ricordato dalla Quaestio ed adottato da Dante inizierà l’anno dopo del nostro computo storico, appunto, e per cui il nostro 1301 risulta essere il 1300 della stessa Quaestio e anche di Dante.
Ritornando alla bontà del mio metodo che fa girare il comune metodo di studio all’incontrario, posso dire che anche nella Bibbia si legge: “costruirai la mia casa cominciando dal tetto”. Alle fondamenta ci si arriva dopo. Il mio metodo sarebbe perciò biblico e divino, quindi ipertensivo verso lo studente e l’intellettuale, cioè per nulla, ipotensivo, o noioso, come spesso è invece, così e semplicemente, l’attuale metodo storico per gli studenti, e non solo, atto ad elogiare più la buona memoria che l’interessante per la scoperta. Concludo con un passo di Cartesio che piaceva tanto anche a Eugenio Garin, per me Professore stimatissimo anche prima che venisse a Pisa, e che adesso ringrazio anche per la sua nobilissima lettera sull’Astrologia dantesca che volle inviarmi in data 7 dicembre 1994. Scriveva Cartesio, e Garin annuiva: “Io non ostento disprezzo per la gloria come fanno i Cinici, però non tengo in nessun conto di quella che soltanto con falsi titoli si può acquistare” (CARTESIO, Discorso sul metodo, con Introduzione di Eugenio Garin, traduzione e note di Adriano Tilgher, terza edizione riveduta da Francesco Adorno [che poi mi fece la presentazione al mio secondo libro su Dante], Parte prima, ed. Laterza, Roma-Bari, 1975, p. 8).

Ringraziando tutti per l’attenzione, e tutti salutando,

GIOVANGUALBERTO CERI
Tel. 055 – 650.55.37; cell. 333.396.1191;
e-mail: giovangualberto@tiscali.it

Allegati