Mer 15 Maggio 2019
Salvatore Barbieri


RAVENNA. C’è chi, come quelli che hanno fatto il Classico, ha “odiato” Dante sin dal primo verso «Nel mezzo del cammin di nostra vita…» della Divina Commedia, opera imposta ad adolescenti ben lontani dalla media età dantesca e dalle sue selve oscure. Salvo poi recuperarla da adulti e capirne l’immenso valore. E c’è invece chi, come il regista Marco Martinelli, grazie a un padre innamorato delle lettere e a un’infanzia e un’adolescenza trascorse a “inciampare” su Dante nella Ravenna che ospita la sua tomba, l’ha amata sin dal primo momento. Al punto da ritenere o meglio “sentire” la Commedia come se fosse stata scritta dall’Alighieri proprio e solo per lui, Marco.
Quindi a Dante, Martinelli doveva in fondo questo suo “Nel nome di Dante. Diventare grandi con la Divina Commedia”, che ha appena pubblicato per i tipi di Ponte alle Grazie. L’autore e regista, insieme a Ermanna Montanari, dell’Inferno dantesco – che nell’estate 2017 è stato lo spettacolo cult di Ravenna festival, coinvolgendo migliaia di cittadini, vincendo numerosi premi e riconoscimenti – ha scritto questa originale biografia dantesca partendo da una domanda non retorica: ha ancora senso leggere, o rileggere, la Commedia di Dante Alighieri, quella che Boccaccio definì «divina»? Che cosa ha da dirci oggi il padre della nostra lingua? Probabilmente tanto. Basta mettere da parte il monumento della letteratura italiana che tutti ci invidiano, quello che si è obbligati a studiare a scuola, e considerarlo anzitutto un uomo come noi.
Il Dante in carne e ossa è stato, come tutti, ragazzo, e da ragazzo ha visto la sua città, Firenze, dilaniata dal conflitto tra guelfi e ghibellini; crescendo è diventato letterato e poeta, cittadino impegnato in politica, e per questo costretto all’esilio; vittima infine della malaria, verrà sepolto lontano dalla sua patria, a Ravenna.

Dante conobbe la realtà dell’inferno in terra e la trasfigurò con la forza della sua immaginazione nell’Inferno, sperimentò la possibilità di ricominciare e la traspose nel Purgatorio, conobbe la potenza dell’amore e la sublimò nel Paradiso.
Per capirlo, tuttavia, occorre sapersi accostare al poeta come ha fatto Martinelli, grazie all’insegnamento di un altro padre: il suo. Vincenzo Martinelli ha trasmesso al figlio la passione per questo Dante a tutto tondo, così come la curiosità per la storia, l’interesse per le vite altrui, un senso alto della politica.
«E il senso nascosto, il perché delle mie lacrime – dice Martinelli – questo mi travolgeva nella lettura, la scoperta che quel libro nascondesse e al tempo stesso a me solo rivelasse il rumore delle mie lacrime, della mia fame di vita, come se Dante lo avesse scritto proprio per me quello smisurato poema, per me, Marco di Luciana e Vincenzo. Così puoi leggerlo, giovanissimo lettore, e farlo risuonare in te quel canto fatto di tre cantiche fatte di cento canti, come se Dante nell’uscire dalla “selva oscura” della sua disperazione avesse pensato a te e a nessun altro. Anche a sette secoli di distanza. A costo di sbagliare, di andar fuori strada, di errare: ma l’errare, si sa, è un maestro sorprendente. È un rischio da correre, è quello che ci salva. Siamo in cammino, quindi possiamo inciampare. E perderci».
È quindi un libro nel nome dei padri: Martinelli affianca con sapienza di stile le proprie memorie ed eventi più recenti alle parole di Dante e ai racconti del suo tempo, facendo dialogare il Due-Trecento con la nostra epoca in un percorso vivo e originale, asciutto e moderno che affonda nella rilettura per il teatro della Commedia, iniziata nel 2017 con Inferno e che, a breve, prevede il debutto di Purgatorio (con la coproduzione di Ravenna festival, Teatro Alighieri e Fondazione Matera-Basilicata 2019) fino al Paradiso nel 2021, per i sette secoli dalla morte di Dante.