DANTE:
PENSIERI DEVOTI DI UN
CREDENTE
Val la pena, oggi, riandare bre-vemente ai passi della Commedia
in cui l‟adirato Poeta stigmatizza
gli uomini della Chiesa del suo
tempo (in particolare l‟arcinemico
Bonifacio VIII).
Dante vive in un momento storico
in cui nella Chiesa, in particolare
nelle più alte gerarchie, si ma-nifestano i vizi della sodomia, del
nepotismo sempre più sfacciato,
degli abusi nella gestione delle
cariche (personaggi indegni messi
in loco di suo pastor vero, epi-sodio denunciato dall‟abate di
San Zeno: Pur XVIII, 126). Altro
grave vizio, per Dante forse il
maggiore, la simonia. Infine la
politica di intrighi che porta il
papato a parteggiare e confon-dersi con la lotta tra le fazioni
facendosi promotore di guerre
civili, vendette, ritorsioni, delitti.
Tutti questi vizi, Dante, da poeta,
li risolve in versi forti, vibranti di
immagini realistiche, vive ef-ficaci, dove i vizi stessi rivivono
in personaggi scolpiti con tratti
possenti e memorabili, versi che
conviene leggere ormai senza più
indugiare.
Inf III 59 – Secondo quanto
comunemente si ritiene, qui il
Poeta allude al gran rifiuto di
papa Celestino V (1294), posto
tra gli ignavi per l‟abdicazione
che portò all‟elezione di Boni-facio VIII (1294-1303), frutto
delle sue subdole manovre.
[N.d.R.: al di là del pensiero
dominante, di cui Benigni è mas-sima espressione opportunistica, è
certo possibile l’allusione a Cele-stino V in un’ottica, diremo, ri-stretta alla prospettiva squisi-tamente politica del Poema (per
restare sul canone della Nova
Lectura Dantis si parla di chiave
morale-autobiogafica); tuttavia, a
livello di macrostruttura pare
innegabile che in principio di
Inferno l’immagine di una insegna
non possa che essere ricondotta
ad un personaggio assolutamente
universale, dunque all’Ignavo per
eccellenza: Ponzio Pilato].
Inf VII 46 – Nel girone dove si
puniscono gli avari e i prodighi,
Dante incontra papi e cardinali /
in cui usa avarizia il suo super-chio.
Inf XI 8 – Dante pone tra gli
eretici papa Anastasio II (496-498) in quanto proclive al com-promesso. Il Poeta si basa su
informazioni storiche rivelatesi
poi infondate. Ma tutto fa brodo
per stigmatizzare i vizi papali
Inf XV 112 – Dante, facendo par-lare il suo maestro ser Brunetto
Latini, gli fa alludere a Bonifacio
VIII (chiamandolo con sarcasmo
servo de’ servi), il quale trasferì
d’Arno in Bacchiglione il chiac-chierato vescovo Andrea dei
Mozzi, che colà lasciò gli mal
protesi nervi; scoperta e forte
allusione alla tigna che colpiva
lui al pari di altri chierci […]
d’un peccato medesmo al mondo
lerci (si tratta del peccato di
sodomia). Bonifacio VIII è qui
accusato di non saper reprimere i
vizi dei prelati facendosi
complice di perversioni.
Inf XIX 31 – Incontro con papa
Niccolò III (1277-1280) il quale
crede erroneamente che sia
arrivato all‟inferno Bonifacio
VIII, papa simoniaco; segue una
lunga invettiva contro i simoniaci
e viene citato Clemente V (il
Guasco): verrà di più laida opra /
[…] un pastor senza legge (verso
82, la laida opera è il trasfe-rimento della sede papale ad
Avignone). Su Clemente V si
veda Par XXX per le mene di
costui contro Arrigo VII.
Inf XXVII 70 – Bonifacio VIII (il
gran prete a cui mal prenda!,
nonché lo prencipe de’ nuovi
Farisei) dà un consiglio frau-dolento al conte Guido di Mon-tefeltro (+ 1298) rovinandogli l‟al
di là. Il figlio Buonconte (+ 1289)
invece si salvò per una lacrimetta
(Pur V 107). Si tratta di due tra i
più belli e famosi episodi della
Commedia.
Pur XIX 86 – Bonifacio VIII è
ingiustamente oltraggiato in Ana-gni. Dante, magnanimo, deplora
l‟episodio.
Pur XIX 97 – Cornice degli avari,
colloquio con Adriano V dei
Fieschi di Lavagna (1276) che si
lamenta del peso del gran manto.
Pur XXIV 23 – Papa Martino IV
dal Torso (1281-1285, successe a
Niccolò III); è tra i golosi dove
purga per digiuno / l’anguille di
Bolsena e la vernaccia di cui, a
quanto pare, era ghiotto.
Pur XXXII 148 – Durante la
processione appare sul carro
(raffigurazione della Chiesa),
insieme a un gigante, una
meretrice (la puttana sciolta,
cioè la corrotta e sfacciata Curia
romana impersonata nei papi
Bonifacio VIII, Clemente V e
Giovanni XXII), succube del
potere (il gigante, cioè la Francia,
i cui reali erano odiatissimi da
Dante). Si veda anche il suc-cessivo canto XXXIII, v. 43: il
messo di Dio, il famoso DXV,
anciderà la fuia (la ladra me-retrice che usurpa i diritti impe-riali) / con quel gigante che con
lei delinque.
Par IX 127 – Invettiva di
Folchetto da Marsiglia (+ 1231)
contro il papa che si disinteressa
della Terra Santa. Condanna
l‟avarizia dei religiosi e prevede
che il Vaticano tosto libero fia de
l’avoltero, ossia di chi lo pr ofana;
secondo alcuni si allude alla
imminente morte di Bonifacio
VIII, il profanatore che, fra le
altre colpe, ha quella di non aver
difeso i Luoghi Santi, di non
pensarci proprio: verso 126 poco
tocca al Papa la memoria.
Par XII 90 – colui che siede e che
traligna, allusione ancora a
Bonifacio VIII che era sedente
nel 1300, anno del viaggio
dantesco. Traligna rispetto agli
altri papi.
Par XV 144 – Dante, per bocca
di Cacciaguida, si riferisce alla
colpa del pastor cioè del papa in
genere (ma anche Bonifacio VIII)
che non si impegna nella difesa
dei Luoghi Santi.
Par XVII 49 – Cacciaguida
profetizza che là dove Cristo tutto
di si merca, cioè in Vaticano,
dove si fa mercato di Cristo
praticando la simonia, Bonifacio
VIII (mestatore politico) già pen-sa ad allontanare Dante da Firen-ze, con l‟aiuto dei francesi. Al
verso 82: ma pria che il Guasco
l’alto Arrigo inganni, ancora
Cacciaguida stabilisce una data a
partire dalla quale apparirà il
valore di Cangrande della Scala e
allude alle trame di Clemente V
(1305-1315) contro Arrigo VII,
un tema di cui Dante parlerà
anche in Par. XXX, 139 (Guasco
in quanto Clemente V fu arci-vescovo di Bordeaux in Guasco-gna e portò, come già visto, la
sede papale ad Avignone).
Par XVIII 118 – Si parla di
giustizia e Dante condanna ogni
papa (allusione anche a Bonifacio
VIII) che sia cupido di denaro e si
adira contro il comperare e il
vendere dentro il Tempio e lo
scrivere (scomuniche) per poi
cancellarle (dietro pagamento), e
quindi fa parlare Giovanni XXII
(1316-1334, il caorsino, nativo di
Cahors, in Francia, città simbolo
di usura e usurai, vedi Inf. XI, 50)
che dichiara (verso 133, segg.) in
modo sguaiato e sprezzante di
pensare solo al San Giovanni che
è effigiato nei fiorini coniati in
Firenze e che nulla gli importa di
Pietro (spregiativamente chiama-to pescatore) e Paolo (ridicoliz-zato con sarcasmo in Polo): non
sa chi siano e non gli interessa
saperlo (io non conosco…). È una
delle terzine più espressive e
potenti della Commedia.
Par XXI 127 – San Pier Damiano
(+ 1072) inveisce contro il lusso,
lo sfarzo, la bella vita degli alti
prelati: quel cappello
(cardinalizio), che pur di male in
peggio si travasa; e si augura che
Dio perda la pazienza (oh
pazienza che tanto sostieni).
Forse c‟è nel suo discorso
un‟allusione alla canonizzazione
di Celestino V (versi 97 – 103), il
papa del gran rifiuto, avvenuta
nel 1313.
Par XXII 73 – San Benedetto
rimprovera la corruzione dei
monasteri. Nei canti precedenti
dedicati a san Francesco e san
Domenico era stata deplorata la
decadenza dei due ordini da loro
creati.
Par XXVII 10 – Uno dei canti
più drammatici della Commedia.
Violentissima invettiva contro
guaschi e caorsini (verso 58:
rispettivamente i papi francesi
Giovanni XXII [1316-1334] e
Clemente V [1305-1315], i più
bersagliati da Dante insieme a
Bonifacio VIII, papa corrotto
usurpatore della sede papale). San
Pietro condanna la corruzione del
papato, di chi usurpa in terra, il
luogo mio, il luogo mio, il luogo
mio….
Par XXX 139 – Riprendendo
l‟accenno fatto in Par XVII, qui
Dante parla di Arrigo VII e delle
subdole manovre di Clemente V
contro di lui per fare fallire il suo
progetto politico di restaurazione
del potere imperiale. Clemente
finirà all‟Inferno facendo ancor
più inabissare a testa in giù nella
buca infernale il compagno di
simonia Bonifacio VIII.
GIOVANNI GENTIL

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